Il pomeriggio di giovedì 19 settembre al Circolo della Stampa di Trieste al Convegno “Trieste ed il fascismo razzista” nessuno esibiva il patrocinio di alcuna istituzione. Erano assenti le fasce tricolori che intervengono, senza vera convinzione, ma mossi da un freddo dovere d’ufficio.
C’era invece un gran numero di uomini e donne, di anziani e adolescenti richiamati dalla Storia rievocata dalle lucide relazioni di Tullia Catalan, Silva Bon, Annamaria Vinci, Gaetano Dato, Simone Rorato, tutti studiosi dell’Università di Trieste. Il contesto della proclamazione delle leggi razziali avvenuta in Piazza Unità il 18 settembre 1938 ad opera di Mussolini, veniva delineato in modo avvincente con documentazione e interpretazione adeguate. Anche seduti per terra e lungo le scale i partecipanti erano attenti ad ogni parola, alle riflessioni che in quella sala venivano svolte e offerte alle menti ed ai cuori, per lo sviluppo della coscienza critica di tutti. Una forte emozione suscitava la presenza tra il pubblico di due ebree novantenni, sfuggite a mala pena ai carnefici fascisti e nazisti. Turbamento e vibrazione dell’animo provenivano, poi, dalle parole di Stanka Hrovatin. Con voce comprensibilmente commossa parlava della sua infanzia di bimba slovena dell’altipiano cui veniva negata brutalmente la propria identità. Sua madre l’aveva condotta, bambina di soli nove anni, in quella piazza Unità, per vedere quella marea di gente invasata, per constatare a che cosa portasse il culto della personalità, di un uomo malefico che parlava di odio e discriminazione. E minacciava, alzando la voce, tra gesti scomposti e smorfie del volto.
Stanka quel giorno ebbe paura, ma non indietreggiò e disse, tra qualche comprensibile lacrima, che in quel momento capì cosa potesse celarsi dietro quei drappi oscuri, quei gagliardetti e quelle grida scandite “du- ce, du-ce” da oltre 100.000 persone. Quelle urla scomposte avrebbero portato lutti e rovine per l’Italia ed i suoi abitanti, avrebbero indotto a calpestare ogni dignità umana, dentro e fuori dai confini. Quelle grida isteriche avrebbero spinto a umiliare anche le anime di altri esseri umani, perché ritenuti inferiori, schiavi, da eliminare.
Da adolescente Stanka poi non ebbe dubbi: sarebbe divenuta staffetta partigiana, lassù nel nostro Carso, tra rappresaglie e fucilazioni. Quel discorso, quella gente presa da delirio e isteria per quell’uomo venuto da Roma con la spada per dividere uomini da altri uomini, le insegnarono cos’era veramente l’odio e provò turbamento ed orrore e in lei si formò la ferma convinzione che doveva difendere sé stessa e la sua gente.
Di fronte alle immagini dei filmati, curati da Claudio Sepin e Alessio Zerjal, che riportavano quella terribile giornata di settembre e quelle del suo naturale epilogo, la Risiera di S. Sabba, com’era nel 1946, molto tempo prima dell’intervento dell’architetto Boico, si era formata nella sala del convegno una forte catena di sentimenti, una civile consapevolezza di voler riprendere la Memoria, in un contesto, peraltro, di speranza e d’amore.
Un interrogativo inquietava alla fine i presenti: perché si sono dovuti attendere 75 lunghi anni per ricordare quel triste evento? Forse si è voluto far dimenticare che proprio da Trieste si è diffuso l’odio delle leggi razziali?
Forse si è voluto nascondere che quel germe fascista si annida ancora, sia pure latente, tra noi tutti.
Claudio Cossu, dei “Cittadini ed eguali”
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