Sono passati più di settant’anni. Il 12 gennaio del 1945 a Bramaiano di Bettola (Pc) venivano uccisi, con un colpo di pistola alla nuca sparatogli da un sott’ufficiale tedesco, venti (il numero oscilla fra i venti ed i ventitré) partigiani catturati nel corso della seconda fase del rastrellamento invernale. Fra questi i partigiani cremonesi Canevari Giovanni della div. Val Nure, originario di Trigolo; Gastaldi Lorenzo e Gilberti Carlo della 142a brigata Garibaldi; Spagnoli Gino della div. Val Nure brigata Stella Rossa, nato a Gombito.
Nati fra il 1923 ed il 1925 “appartenevano tutti a quella generazione nata e cresciuta sotto il fascismo che aveva saputo sottrarsi alla sua influenza”.
Gastaldi e Gilberti, giovani di Azione Cattolica, erano di città. Una ampia ed articolata descrizione del loro percorso formativo la si trova in un saggio, inedito prossimo alla pubblicazione, di Chiara Somenzi.
Nell’ottobre del 1944, all’arrivo della cartolina precetto i due giovani rifiutarono l’arruolamento fascista e scelsero la Resistenza. Andarono per le colline piacentine aggregandosi al distaccamento partigiano “Paolo Selva” della 142a Brigata Garibaldi con base a Castellana. È questa una frazione di Gropparello (PC), appoggiata alla costa della collina tra la valle del Chero e quella del Vezzeno, attraversata dalla strada che porta a Rustigazzo o a Prato Barbieri e Bettola.
Il 6 gennaio 1945 l’appennino ligure-emiliano è sommerso dalla neve caduta abbondante durante la notte. È ancora buio quando scatta la seconda fase del grande rastrellamento invernale, dalle nostre parti ricordato come quello dei “mongoli” ed il Liguria dei “calmucchi”. Lorenzo Gastaldi, Carlo Gilberti ed i partigiani del distaccamento “Paolo Selva” della 142a brigata Garibaldi si trovano al presidio di Prato Barbieri, strategico luogo dove, nel giro di qualche centinaio di metri e superato il passo Guselli, s’incrociano le strade che collegano fra loro le più meridionali delle valli piacentine. Ancora libere in mano partigiana sono quelle dell’Arda, del Chero, del Vezzeno, del Riglio, del Chiavenna. Investita dalla prima parte del rastrellamento la valle del torrente Nure, compreso il capoluogo di Bettola, è già occupata dai nazi-fascisti fin dallo scorso novembre. Parte dei partigiani della valle occupata si attestano al capo-saldo di Prato Barbieri.
Prima dell’alba del 6 gennaio1945, partiti da Bettola, due blindati risalgono la strada della montagna. Con i cingoli schiacciano la neve, aprono un più agevole passaggio alla fanteria che segue. Tedeschi, “mongoli” e truppe fasciste munite di idoneo equipaggiamento invernale irrompono a Prato Barbieri, vi sorprendono i partigiani della prima postazione. Quelli acquartierati al mulino, dove si pensa si trovino anche Gastaldi e Gilberti, tentano una resistenza ma ormai il sito è sotto il tiro dei blindati. Ai partigiani non rimane che tentare una sortita. Al comando di “Tom” saltano dalle finestre rivolte alla montagna e si avviano, “nella neve ormai alta un metro e venti”, faticosamente verso il passo santa Franca. È Gastaldi Ferdinando, padre di Lorenzo, a lasciarci in una nota autografa datata 10 4 1947 e custodita nell’archivio dell’ANPI, la descrizione cronologica di quei sei giorni di autentico Calvario che, alla forra sul Rio Farnese per molti di loro, un colpo di P38 alla nuca porrà termine. Nella ritirata i partigiani sottrattisi alla cattura a Prato Barbieri “il giorno 7 gennaio si unirono ad un’altra colonna di sbandati e raggiunsero il monte Ragola. L’8 gennaio salirono a Cornolo. Il 9 gennaio affranti laceri affamati, molti febbricitanti scendevano a Pertuso (m.1800). Pattuglie tedesche e mongole, che il giorno prima si erano appostate in quelle case, li prendevano sotto il tiro delle loro mitraglie. I primi della colonna furono uccisi dalle raffiche, alcuni della coda riuscirono a fuggire, la maggioranza catturati e rinchiusi in una stanzaccia lurida della stessa Pertuso, fra questi vi era mio figlio (Renzo Gastaldi), Carlo Gilberti e Spagnoli Gino. L’11 gennaio sono fatti camminare fino a Bettola-km 20- e rinchiusi nei locali del comune”. Il giorno successivo molti di questi (il numero oscilla dai venti ai venticinque a seconda delle ricostruzioni) furono portati alle carceri di Piacenza e di loro si perse ogni traccia. L’altro gruppo comprendente i quattro cremonesi e tutti i partigiani catturati appartementi alla 142a Brigata Garibaldi compreso il comandante Renato Raiola (Romeo), fatto marciare da Bettola fino alla frazione di Bramaiano, veniva barbaramente trucidato all’orrido sul rio Farnese.
La narrazione popolare partigiana anticipa la ricostruzione degli storici, ne occupa lo spazio lasciato vuoto, si fa a sua volta storia. Anche la ricostruzione sopra descritta, fatta da Ferdinando Gastaldi padre del caduto Renzo, può essere stata influenzata ed i fatti essersi svolti con altre modalità. Una meticolosa indagine, condotta in anni successivi da Andrea Cammarosano, rende dubbi alcuni dei presupposti che reggono tutta la narrazione popolare aprendo la via ad ulteriori ipotetiche ricostruzioni degli eventi (*).
Il racconto popolare incorpora la pietà dei valligiani, ingloba fatti reali diversamente accaduti, ne costruisce una narrazione uniforme che costituisce ancora oggi la base narrativa rievocativa di quegli eventi ed è spesso citata in commemorazioni e descrizioni.
(*) Ennio Serventi: “Dalla forra del rio Farnese a prato Barbieri. Viaggio a ritroso in una partigiana narrazione popolate”. Inedito
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