Al Direttore de La provincia
Signor Direttore, mi rendo conto che lo scritto va assai oltre il numero di righe consentito, ma ritengo egualmente opportuno proporlo al giornale. Si tratta della ricorrenza della marcia su Roma di 90 anni fa. Data peraltro abbastanza vicina a quella in cui anche il quotidiano La Provincia dell’epoca venne costretto al silenzio dai “marciatori” da poco al potere.
Leggo che gruppi neofascisti intendono celebrare l’infausta data e lo annunciano con una locandina che mostra Mussolini marciante alla testa delle camice nere, quasi un capo sprezzante del pericolo alla conquista rivoluzionaria del potere. Si tratta in effetti di una immagine posteriore al 28 ottobre, quando il re – revocato lo stato d’assedio del governo dell’epoca, che si dimise – aveva già di fatto consegnato il governo al fascismo. Di ciò rassicurato Mussolini era giunto a Roma col famoso vagone letto da Milano per gli incontri ufficiali e la parata raffigurata in quell’immagine.
Chi volle dare senso “rivoluzionario”, eversivo e violento alla marcia, anche discostandosi dalle direttive manovriere di Mussolini, fu Farinacci, con gli sconsiderati e velleitari assalti alla prefettura di Cremona ed alla caserma dei carabinieri di S. Giovanni in Croce.
L’ANPI di Cremona è in procinto di pubblicare un volume sulla storia del fascismo nella nostra provincia. Nell’occasione ne riporto di seguito alcuni dei passaggi relativi a questa vicenda.
Il giornale del fascio “Cremona Nuova” del 27.10.1923 rievoca gli eventi di un anno prima.
Riprende la riunione segreta di Rivarolo Re, nella villa Ponzoni, che aveva per oggetto una azione su Parma mentre la sera dopo, a Milano “…non è possibile, ci disse il Duce, limitare l’azione a Parma, bisogna prepararla in grande stile e con più vasto obiettivo. Parma se mai potrebbe essere un pretesto.” In successivi incontri si decide che il 27 andavano occupate le prefetture e altri obiettivi dalle Camice nere, per poi partire verso Foligno, luogo del concentramento. A Cremona tutto fu preparato da Gambazzi, Balestreri, Pantaleo, Orefici e Moretti. Gli ultimi due avrebbero occupato le sottoprefetture di Crema e Casalmaggiore, gli altri – con lo stesso Farinacci – provvederebbero per Cremona, con disarmo dei carabinieri e possesso dei centralini telefonici e telegrafici. Fatto ciò “domani sera (cioè il 28 ndr) si deve partire per Roma”. La sera del 27 pertanto, prosegue la rievocazione, 150 Camice nere al comando di Farinacci e Balestreri irrompono nella questura quindi salgono nell’ufficio di gabinetto del prefetto. Intanto erano arrivati i camion dei casalaschi ed erano stati occupati gli altri obiettivi. Di fronte a Balestreri il prefetto Rossi chiama il Maggiore dei carabinieri e il Comandante del Presidio militare che fanno occupare e presidiare le vie adiacenti la prefettura. (Tra i militari c’era il capitano Stajano, padre di Corrado – ndr). Arriva la notizia che a S. Giovanni in Croce i carabinieri hanno sparato e tre fascisti sono stati colpiti a morte. Arriva un portaordini da Perugia: tutta l’azione è rimandata di 24 ore, ordine del quadrumviro De Vecchi. Ma già c’erano state delle vittime ed erano stati occupati tutti i luoghi strategici della provincia. Era impossibile sospendere. In un colloquio telefonico Farinacci ottiene da Mussolini di poter andare avanti. Hanno luogo scontri attorno alla prefettura, qualche fascista cerca di raggiungere una finestra arrampicandosi con una fune. I militari sparano. Qui avviene il noto scambio di battute riportate da Farinacci tra lui (“non sparate, sono colpi a salve”) e Vicini (“no tirano dritto, sono ferito anch’io”). Tra i fascisti vi sono morti e feriti ed alcuni di questi moriranno all’ospedale. (Anche questo sanguinoso episodio dimostra quanto fosse “resistibile” il golpe fascista ndr). La notte trascorre nell’agitazione di questi eventi, all’alba del 28 arrivano altri fascisti che nella tarda mattinata, senza più incontrare la resistenza dei militari essendo stato in questo modo disposto a Roma, invadono la prefettura. Il comandante del Presidio, Col. Petrini, che poche ore prima aveva ordinato il fuoco, non solo abbandona ogni resistenza ma “rassegna nelle mani del Duce del Fascismo cremonese i poteri civili e militari”. Con una grottesca formalità militare “le truppe rendono gli onori all’on. Farinacci” e lo stesso fanno le Camice nere nei confronti del Col. Petrini. Questo, in sintesi, quanto riportato dal quotidiano fascista.
Dunque i fascisti cremonesi partono alla volta di Roma la sera dopo quella della marcia, cioè la sera del 28, in treno. Parteciperanno così, piuttosto numerosi, alla parata conseguente la consegna del potere a Mussolini voluta dal re.
Cordiali saluti, Giuseppe Azzoni
(del Direttivo provinciale ANPI – Cremona)
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