Quel 1946 della Repubblica e della Costituente (6)
L’ANPI cremonese ha celebrato, con un incontro pubblico in sala Zanoni, il 70° della votazione con cui il popolo italiano ha sceltola Repubblica ed eletto l’Assemblea costituente. In apertura il presidente Gian Carlo Corada ha ricordato il partigiano e dirigente dell’ANPI, Libero Scala, scomparso di recente. Hanno poi parlato la segretaria cittadina, Valentina Corbani (con particolare riferimento alla storia per il diritto di voto alle donne finalmente attuato con la Liberazione), lo stesso prof. Corada e Giuseppe Azzoni con riferimento a quella storica campagna elettorale. La prossima nota sarà dedicata agli eletti cremonesi nella Costituente.
Nel referendum del 2 giugno 1946 quella di Cremona risultò una delle terre più repubblicane. Fortissima l’affluenza: il 94% degli aventi diritto, cioè tutti gli uomini e per la prima volta (dopo le amministrative delle settimane precedenti) le donne.La Repubblica ebbe 144.808 voti (65,2% mentre il dato nazionale fu del 54),la Monarchia 77.192 (34,8%, dato nazionale 46). Cremona città dette alla Repubblica il 70%, fu il capoluogo più repubblicano tra quelli lombardi, tra le prime città in Italia. Crema votò Repubblica al 67%, a differenza della sua area nella quale la monarchia ebbe notevoli consensi.
La campagna elettorale vide una amplissima ed appassionata partecipazione, a partire dal primo grande comizio che ebbe luogo in piazza Marconi il 26 marzo, oratore Palmiro Togliatti. Ad una folla enorme, affluita anche dalla provincia con ogni mezzo, carretti, bici, treno…, delineò una Repubblica espressione di una partecipazione effettiva delle classi lavoratrici alla direzione dello Stato. Egli, che aveva già come ministro del governo Bonomi, presentato la proposta per il voto alle donne, sottolineò fortemente anche questo aspetto. Tra gli altri grandi comizi ci furono quello del 25 aprile, con Giancarlo Pajetta (candidato eletto alla Costituente nel collegio Cremona Mantova); il 1 maggio unitario con Ernesto Caporali, socialista, Angelo Formis democristiano, Dante Bernamonti comunista che si pronunciarono insieme per una “repubblica dei lavoratori”. Importanti nei giorni successivi i discorsi di Giuseppe Cappi perla DCe quello di Ivanoe Bonomi per il bissolatiano Partito Democratico del Lavoro. Grandissima la partecipazione di popolo al comizio di Pietro Nenni, a pochi giorni dal voto, il 29 maggio. Nenni argomentò contro gli argomenti della paura usati dai conservatori: “la Repubblica non è un salto nel buio!” fu la monarchia a portare l’Italia nel baratro. “La Repubblica non è rossa ma di tutto il popolo italiano affratellato”.
In diversi modi, sulla stampa particolarmente, in quei due mesi si confrontarono le diverse posizioni culturali, ideali e politiche sia sulla forma istituzionale che sui contenuti della futura Costituzione.
I socialisti, col loro antico ed assai diffuso Eco del popolo, denunciano i nefasti della monarchia, dalla consegna del potere a Mussolini alla fuga dell’otto settembre. Sostengono al cento per cento la Repubblica. Sottolineano per le scelte politiche future: alcune nazionalizzazioni in settori decisivi dell’economia; la riforma agraria; un drastico superamento delle scorie, dei metodi, della burocrazia del regime fascista; forti poteri alle autonomie locali ed alcune forme di “democrazia diretta”. Assai importante il fronte della laicità: i socialisti criticano ambiguità democristiane, l’uso strumentale della religione a fini partitici ed i residui oscurantisti di una parte del clero. Il PSIUP incita i suoi a non trascurare il confronto e la discussione con le donne, contrastando la particolare pressione esercitata dal clero per influenzarne il voto.
Nella Democrazia Cristiana convivono idee diverse sul referendum, è noto che questo partito tenne, per decidere in proposito, un referendum con voto segreto tra gli iscritti al quale parteciparono ben 840.000 tesserati. Risultò netta la prevalenza per la repubblica (60 contro 17 per cento, con un 23% di schede bianche). La DC cremonese, nel suo congresso a fine 1945 (precedente a quel referendum), aveva già indicato decisamente la preferenza alla repubblica. Cappi, motivandola e sostenendola, aveva anche aggiunto che una monarchia costituzionale sarebbe stata preferibile solo se la repubblica avesse messo in pericolo le libertà e i diritti, compreso quello della proprietà privata e relativa successione ereditaria.La DC riprese poi filoni che erano stati del PP di don Sturzo, come l’accentuazione sull’autogoverno dei Comuni e delle Regioni, il sistema elettorale proporzionale, il Parlamento bicamerale con competenze differenziate. Il pensiero sociale della Chiesa doveva tenere insieme tutti i democristiani. Man mano ci si allontana dai giorni della Liberazione la DC tende “a smarcarsi” dallo spirito del CLN ed il confronto tra DC e sinistre non è ancora quello del ’48 ma non è tenero. La DC sostiene risolutamente il diritto di voto alle donne. Cappi esorta tuttavia: “l’attività politica della donna non la strappi a quei compiti e funzioni familiari che le sono proprie”. La commissione femminile provinciale DC convoca le donne al Cittanova per sostenere la Repubblica.
Il PCI, nel sostenere appieno la Repubblica, la caratterizza per contenuti sociali ed antifascismo. La critica per le responsabilità del ventennio non è solo alla monarchia ma coinvolge quel padronato che fu coi fascisti per un dominio senza freni sulle classi lavoratrici. Tra i contenuti programmatici perla Costituente, la stampa comunista cremonese sottolinea l’urgenza di una totale liquidazione dei residui politici del regime, forti riforme nell’agricoltura e nell’economia che portino alla prevalenza dell’interesse collettivo ed all’uso delle risorse per la ricostruzione e per dare lavoro, colpendo gli interessi speculativi. Non statalizzazioni, rispetto per la proprietà, specie quella contadina, ma anche partecipazione dei lavoratori alle scelte delle imprese ed affermazione dei loro diritti in una “Repubblica democratica dei lavoratori”. Altre riforme prospettate riguardano scuola, sanità, autonomie locali (eleggibilità dei prefetti), esercito… Al fondo l’importanza del permanere dell’unità ereditata dalla Resistenza. Cosa non facile con l’iniziare già in quei mesi di uno scontro sociale sempre più duro nelle nostre campagne che vedeva la DC da una parte e le sinistre dall’altra. Al voto alle donne il PCI lega la parità dei diritti, a partire da paga eguale a lavoro eguale.
I liberali cremonesi ebbero al loro interno un’ala importante (Gianfranco Groppali, Taglietti, Masone, Salvalaggio, Giano Destri…) che si espresse in senso repubblicano ma venne smentita dalla scelta del PLI nazionale per il re: alcuni di loro uscirono dal partito. Nel PLI convivevano una corrente repubblicana, una monarchica ed una “agnostica”. A complicare ancora di più le cose ci fu, per la elezione della Costituente, l’accoppiamento in unica lista – la lista UDN – tra il PLI e il Partito Democratico del Lavoro di Ivanoe Bonomi. Quest’ultimo era di un riformismo bissolatiano e repubblicano. Dunque il PLI era per la monarchia, il PDL era per la repubblica: così l’UDN lasciò “libertà di scelta”.
Ovviamente nettissima la scelta perla Repubblica del PRI così come per il Partito d’Azione, forte la loro caratterizzazione in senso laico e la valorizzazione partigiana specie dagli azionisti.
Il clero anche a Cremona intervenne direttamente nella campagna elettorale, sia dai pulpiti che tramite “Vita Cattolica”. Sostegno ma non identificazione con la DC. Duro contrasto alle sinistre di ispirazione marxista (portano a “scristianizzare l’Italia ed a cancellare Dio dalle coscienze”). I temi centrali della campagna diocesana sono la difesa del Concordato, il catechismo nelle scuole, la famiglia. Quella tra Monarchia o Repubblica è una scelta sulla quale i cattolici si regoleranno liberamente. Per la Chiesa ci sono rampogne per i Savoia ma anche simpatie per una monarchia che pare più affidabile nella difesa dei valori tradizionali: le simpatie non sono tali però dal portare a dare esplicita indicazione per quella scelta. Netta invece, per la Costituente, la incompatibilità dichiarata per il voto alle sinistre socialiste e comuniste ed ai laicisti. Il si va ad un voto “cristiano”. Le donne vengono esortate ad andare alle urne, a non ascoltare il marito se volesse imporre un voto “contrario agli obblighi della religione”, quindi a “difendere Dio e la Chiesa” col voto ad “uomini saggi onesti e cristiani”.
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1 – 1946: Una ANPI prestigiosa, unita ed attiva
2 – L’epurazione (dal tribunale del CLN all’amnistia)
3 – Nei Comuni si torna a libere elezioni (è anche il primo voto per le donne)
4 – Togliatti a Cremona (su repubblica, religione e voto alle donne)
5 – Lotte, miseria, speranze del maggio sulle pagine del “Fronte Democratico”
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