25 aprile 2005 Casalmaggiore

25 aprile 2005 – 60° anniversario della Liberazione – Casalmaggiore
Intervento di Giuseppe Azzoni, in rappresentanza dell’ANPI provinciale

FATTI DI QUEI GIORNI…

60 anni fa, il primo maggio, su questa stessa piazza si festeggiò l’appena avvenuta liberazione… Ho ritrovato la notizia sul numero del due maggio del quotidiano “Fronte Democratico”, l’unico che allora si pubblicava a Cremona. Il giornale scrive che presiedeva la manifestazione, per conto del CLN di Casalmaggiore, Don Amilcare Bombeccari… presero la parola a nome dei partiti del CLN stesso il socialista e dirigente della CGIL Delvaro Rossi e Don Primo Mazzolari.
Si chiudeva un periodo sanguinoso e tremendo… un periodo di lotta cui anche Casalmaggiore ha dato il proprio contributo, che vorrei ricordare. C’è un bel documento, la relazione sulla attività partigiana a Casalmaggiore, scritto, su richiesta della Prefettura, dalla Autorità municipale – il CLN – subito dopo la Liberazione. Ne leggo alcuni essenziali passaggi.
“Nell’ottobre 1943 un gruppo di animosi, a mezzo della sig.na Ramponi Regina, sceglieva la via dei monti quando stava per nascere la repubblica fascista. E questi erano: Favagrossa Giovanni, Vida Sergio, Grassi Gianni, Fortunati Giuseppe, Rossi Roberto ed altri due.
Raggiunsero Lago Santo a marcia forzata ove avrebbero dovuto collegarsi ad una banda appena costituita. (…)
Furono ritenuti dal Comitato di Parma ottimi elementi organizzatori e furono trasferiti a Bardi, ove si costituì il primo Stato maggiore di tutte le truppe partigiane.”
Il documento prosegue descrivendo la dura battaglia di Osacca in cui i partigiani, tra essi i casalesi, batterono e respinsero i repubblichini…
“(…) In zona Bozzolo iniziarono un lavoro intenso, con Arini Sergio e Pompeo Accorsi, di disarmi alle caserme e di organizzazione. Per evitare di essere catturato il gruppo si portò sul parmigiano (Colorno) con l’aiuto di Bernardi Augusto e parte rimase a Casalmaggiore.
Durante uno dei periodi di transazione da un’azione all’altra venne catturato il Favagrossa Giovanni in seguito ad una denuncia…Catturato dall’UPI locale venne portato a Sabbioneta da dove fuggì e passò pure lui sulla sponda parmigiana. (…)
E proprio negli ultimi giorni, la notte dal 23 al 24 aprile 1945, mentre la squadra formata dal Giovanni Favagrossa si dirigeva verso Casalmaggiore, composta da Cerati Tino, Cerati Enea, Martelli Carlo ed altri, si imbatterono in un gruppo di tedeschi nei pressi di Valle di Casalbellotto che gli spararono e qui caddero da eroi Favagrossa Giovanni e Martelli Carlo.
A Casalmaggiore intanto si era iniziato il combattimento il mattino del 24 aprile. Con le armi prese nelle varie caserme della GNR scioltasi la notte stessa si sparava contro i tedeschi che andavano asserragliandosi alla Provvidenza, intanto un partigiano innalzava bandiera bianca sulla cupola del Duomo per evitare nuovi bombardamenti e un patriota, Aldo Formis, cadeva colpito a morte da piombo nemico. Si sparò per tutto il pomeriggio, i comandi li presero Giuseppe Fortunati e Gianni Grassi.
Verso sera dovemmo ripiegare per l’afflusso di nuovi tedeschi armati di armi automatiche, il giorno dopo, 25 aprile, si tornò all’attacco, tutti i tedeschi si erano portati nei pressi del Lido Po, avevano 3 o 4 mitragliere da 20 mm e la battaglia si accese violenta.. Nel pomeriggio vi trovò la morte Avigni Gino di Rivarolo Mantovano. Rimasero feriti Favagrossa Spirito, Gozzi Guido, Bravi Riccardo, Germani Enea, Vaccari Arnaldo, Cimardi Francesco, Riviera Amilcare.
Verso sera qualche tedesco era fatto prigioniero e gli altri fuggirono attraverso il bosco e si portarono nei pressi di Gussola.. Là si combatté per 4 o 5 giorni, vi furono altri morti, una quindicina, qualche tedesco si arrese, il resto fuggì.”
SUI CARATTERI DEL REGIME FASCISTA
Una ricorrenza come il 60° permette una maggiore prospettiva di visione storica ed induce a parlare del 25 aprile in termini di riflessione non faziosa. La premessa è che ci si richiami ai valori della Resistenza come patrimonio di tutti i democratici: per essi i partigiani hanno combattuto, con essi un popolo ha sofferto ma ha vinto. Sono valori fondanti non solo per la nuova Italia ma per l’Europa, sia perché anche europea è stata la Resistenza sia perché antifascisti come Silvio Trentin o Altiero Spinelli hanno anticipato le idee essenziali di una futura Europa, democratica ed unita dopo secoli di guerre e devastanti contrasti tra le varie nazionalità europee.
Per parlare di fascismo, guerra e Resistenza bisogna sempre tenere ben presente che in Italia dai primi anni ’20, successivamente in Germania, quindi in altri Paesi europei (e con forma diversa in Giappone) dopo quel sanguinoso sconquasso che fu la prima guerra mondiale si erano impadroniti del potere i regimi fascisti, nazionalisti e militaristi (queste le caratteristiche di quel tipo di totalitarismo). Questi regimi vollero chiamarsi “rivoluzionari” ma non furono il portato di sommovimento popolare bensì di violenza squadrista, spesso spietata sino all’omicidio, appoggiata dai potentati economici e dalla monarchia. Prevalsero anche perché seppero sfruttare lo sbandamento, la sfiducia, le paure, la domanda di ordine di ceti importanti della popolazione mentre le forze che si richiamavano alla democrazia ed al lavoro si presentavano divise ed inadeguate.
Questi regimi si insediarono saldamente al potere e seppero procurarsi, soffocando ogni voce di critica e di verità e con politiche demagogiche, consenso anche vasto nella popolazione. Un consenso estorto con l’inganno e con la forza che fu poi pagato con lacrime sangue e miseria: questo è il primo insegnamento dell’esperienza del cosiddetto “ventennio”.
Quei regimi, pur con alcuni caratteri e gradi di ferocia diversi, presentavano peculiari valori e logiche: il dominio totale di ristretti gruppi di potere e di privilegio, l’impedimento con la forza verso ogni forma di autonomia e libertà politica e sindacale, con relative persecuzioni e repressione, ed infine la malvagia pianta del razzismo.
A questi caratteri sul piano interno si univa la forte carica aggressiva sul piano internazionale. Dalla retorica nazionalista e guerresca originaria si è passati alle aggressioni ad altre nazioni, in Africa, in Spagna, nei Balcani, sino allo scatenamento della seconda guerra mondiale. Una guerra durata 6 anni e che ha provocato immani distruzioni – 50 milioni i morti – ed ha ricompreso le indicibili, allucinanti, disumane follie dello sterminio antisemita condotto dal nazismo con la collaborazione del fascismo. Una guerra, peraltro, al cui tramonto abbiamo visto uno spiraglio di quella che potrebbe essere una “grande guerra” del futuro, con l’orrore indescrivibile  del nucleare.
È questa la lezione della storia sul fascismo, sulla guerra e sulla pace che è davvero vitale per individui e popoli non dimenticare mai.
LA RESISTENZA E LE SUE RADICI
La Resistenza fu un grande moto, italiano ed europeo, che reagì per porre termine a tutto questo, per creare condizioni che ne impedissero il ripetersi in qualsiasi forma.
È un moto che ha radici nella tenace opposizione di pochi negli anni del regime trionfante. cioè nei sacrifici e rischi di ogni genere di coloro che avevano avuto la forza e la consapevolezza di “non mollare”, di diffondere consapevolezza sulla rovina che incombeva, di lavorare perché il fascismo finisse. Grave è l’inganno con cui si vorrebbe presentare il regime fascista come bonario, inganno ben simboleggiato dalla infelice frase, pronunciata dal titolare di una alta carica istituzionale, sul confino come “vacanza” per gli oppositori. In effetti il regime colpiva con durezza gli oppositori, in molti modi: le percosse ed angherie fisiche anche umilianti e distruttive, la perdita del lavoro, il carcere e il confino, in qualche caso la morte. Il Tribunale Speciale, istituito nel 1926 per i reati  di opinione, colpì circa 5.000 oppositori comminando 25.000 anni di carcere. Al confino furono condannati circa 15.000 antifascisti: la “vacanza” consisteva nell’essere costretti, anche per molti anni, a vivere in zone ed isole remote e desolate, ridotti alla disoccupazione e alla miseria con le proprie famiglie, sottoposti ad umilianti continui controlli e vessazioni. In caso di malattia le conseguenze erano gravi, Antonio Gramsci, e non solo lui, ne morì. Tra i confinati vi furono anche molti cremonesi.
Con l’impatto sconvolgente della guerra, con le tragedie che essa portò nelle famiglie, con la dura occupazione tedesca del nostro suolo dopo l’otto settembre del 1943, questa brace dell’antifascismo che mai si era spenta si trasformò in un grande fuoco. La Resistenza si organizzava, si allargava, si dava una linea unitaria politica e militare, si collegava alle nazioni aggredite della coalizione antifascista ed ai loro eserciti. La vittoria di questo campo – nei fatti di ogni persona e non nella retorica – significò la fine della guerra e della dittatura ed il prevalere dei valori della pace, della libertà e della democrazia. Da qui il significato così decisivo del 25 aprile: guai a sminuirlo.
È bene riflettere, ragionare di questo. Le forze e la cultura che si richiamano a questo patrimonio invitano a respingere le contraffazioni, le mistificazioni, i silenzi interessati o le enfatizzazioni distorcenti che vanno sotto il nome di “revisionismo storico” e che costituiscono una vera e propria campagna di divulgazione di molti “media” sino a tentare di diventare “verità ufficiale” per le scuole.
I MERITI SUL PIANO MILITARE
Intanto non va sminuito il significato militare della lotta partigiana. Chi si impegnò combattendo nella Resistenza, oltre a permettere all’Italia di riscattare la propria dignità nazionale non aspettando passivamente la liberazione dagli eserciti delle Nazioni alleate, dette un contributo rilevante ad avvicinare il giorno della vittoria e della pace. La Resistenza, anche nei fatti apparentemente “minori” dal punto di vista militare come quelli avvenuti in pianura, ha avuto un peso significativo, portando scompiglio tra i tedeschi in ritirata ed i loro alleati fascisti e quindi compromettendone le potenzialità belliche. Documenti di fonte militare tedesca comprovano che l’insicurezza nei territori di guerriglia partigiana, i sabotaggi anche minori (ma chi li compiva rischiava la vita), i repentini attacchi,  il rifugio assicurato ai militari inglesi paracadutati  alle spalle dei tedeschi e così via hanno impedito all’esercito hitleriano, incalzato dalle truppe alleate una ritirata ordinata per organizzare a nord del Po ulteriori resistenze dopo quella così a lungo tenuta sugli Appennini. Una difesa che sarebbe stata disperata e perdente ma che, data la pervicace folle determinazione di Hitler e dei suoi di combattere sino allo stremo, avrebbe potuto prolungare la guerra, con  tutto ciò che poteva conseguirne in ulteriori distruzioni e morti. L’azione partigiana che liberò città e zone costringendo alla resa ed alla consegna delle armi  interi reparti della Wehrmacht ha risparmiato bombardamenti e battaglie ulteriori al nostro popolo. I tedeschi dovettero costituire contro la Resistenza un vero e proprio secondo fronte sottraendo ingenti forze al contrasto degli eserciti alleati. Nei rapporti di comandi nazisti ritrovati negli archivi si leggono frasi come:
“A causa della costante minaccia per le strade da parte ribelle è quasi impossibile far circolare veicoli singoli. I tragitti d’importanza bellica e di necessità vitale possono essere percorsi solo sotto protezione adeguata. Le forze a disposizione per questo proposito sono di gran lunga insufficienti così che i veicoli vengono continuamente requisiti dai ribelli”… oppure:
“Il retro delle divisioni combattenti non è più libero, è dominato dalle bande. Le aggressioni sono all’ordine del giorno. Le strade sono continuamente sbarrate. (…) neppure il comando può essere collocato al centro del settore del corpo corazzato (…), l’impiego dei carri armati è reso più difficile dall’azione dei partigiani, che fanno saltare i ponti davanti e alle spalle dei panzer erigono sbarramenti con alberi abbattuti.”
VALORI MORALI E POLITICI FONDANTI
Ma al di là dell’indubbio significato militare ed ancora più importante è il valore morale e politico della Resistenza: essa infatti ha gettato le fondamenta per il futuro del Paese. In essa si manifestarono le migliori qualità del nostro popolo e le forze che ne furono protagoniste seppero mettere in secondo piano gli interessi di parte per privilegiare quelli del Paese.
Non ci stancheremo di contestare chi cerca di offuscare o negare questi fatti che fondarono la nostra democrazia. Non possiamo permettere che si cerchi di sminuire la portata della Resistenza descrivendola come evento marginale ed ininfluente. È indegno che si descrivano i partigiani come persone che agirono perché in preda all’odio, al risentimento vendicativo.
Non siamo per una lettura retorica ed agiografica di quei fatti storici. Sappiamo che vi sono stati tra le nostre file fatti negativi e sanguinosi durante la guerra e nei periodi immediatamente successivi, non vogliamo né nasconderli né giustificarli, è giusto che gli storici facciano il loro lavoro, è giusto conoscere e giudicare con rigore tutto quanto è accaduto. Ma i fatti deprecabili sono stati le eccezioni, non la caratteristica della Resistenza, che li ha contrastati: proprio con la democrazia le forze antifasciste si sono adoperate e sono riuscite a chiudere definitivamente quella stagione.
E non voglio tacere del tentativo di screditare grande parte della Resistenza con l’argomento che i partigiani delle Brigate Garibaldi si richiamavano alle idee comuniste… Non è possibile qui approfondire un simile argomento. Mi limito a rilevare che, nei fatti a tutti noti, da quella parte venne un decisivo contributo alla Liberazione prima, alla Repubblica ed alla Costituente poi. Per quanto riguarda i sentimenti con cui i garibaldini combatterono io vorrei richiamare documenti che non possono certo essere sospetti di propaganda con secondi fini: si leggano le lettere dei condannati a morte della Resistenza. Ecco cosa scrive, per esempio, il “garibaldino” Pietro Benedetti, 41 anni, militante comunista, catturato e fucilato il 29 aprile 1944 a Roma:
“…quando voi potrete leggere questo doloroso foglio, miei cari e amati figli, forse io non sarò più tra i vivi. Questa mattina alle 7 mentre mi trovavo ancora a letto sentii chiamare il mio nome. Mi alzai subito. Una guardia aprì la porta della mia cella e mi disse di scendere che ero atteso sotto. Un poliziotto mi attendeva e mi accompagnò al Tribunale di guerra (…) Il processo, se tale possiamo chiamarlo, ebbe luogo in dieci minuti e finì con la mia condanna alla fucilazione: (…) Amatevi l’un l’altro miei cari, amate vostra madre e fate in modo che il vostro amore compensi la mia mancanza. Amate lo studio e il lavoro. Una vita onesta è il migliore ornamento di chi vive. Dell’amore per l’umanità fate una religione e siate sempre solleciti verso il bisogno e le sofferenze dei vostri simili. Amate la libertà e ricordate che questo bene deve essere pagato con continui sacrifici e qualche volta con la vita. Una vita in schiavitù è meglio non viverla. Amate la madrepatria, ma ricordate che la patria vera è il mondo e ovunque vi sono vostri simili quelli sono i vostri fratelli. Siate umili e disdegnate l’orgoglio, questa fu la religione che seguii nella vita. (…)”.
Voglio dire che bisogna considerare con grande rispetto e tenere saldamente uniti tutti i grandi filoni ideali, pur così diversi, che si espressero prima nella lotta contro la dittatura fascista e poi nella guerra di Liberazione: il socialista Matteotti, i liberali Amendola e Gobetti, i mazziniani fratelli Rosselli, il cattolico Don Minzoni, il comunista Gramsci e poi i militari di Cefalonia e quelli che furono deportati per il rifiuto a combattere per i nazisti dopo l’otto settembre, i partigiani delle Fiamme Verdi, delle Brigate Matteotti e Garibaldi, di Giustizia e Libertà, delle formazioni autonome.
NON SONO COBELLIGERANTI
Si parla oggi di passi ufficiali ed istituzionali volti ad una specie di parificazione tra Resistenza e Repubblica Sociale. Diciamo chiaramente che sarebbe aberrante un riconoscimento di cobelligeranza di questo genere. Qui non si tratta di spirito di parte, di attizzare odio, di disconoscere la buona fede o il coraggio individuale di qualcuno… Si sa che molti erano giovani, persino ragazzi, imbottiti di idee e informazioni dal regime fascista a senso unico. Va fatta salva l’umana pietà per chi è morto credendo in qualcosa. Non si tratta di questo, del resto la Repubblica non è stata certo vendicativa, ha concesso una ampia amnistia, non ha negato alcun diritto agli exrepubblichini in quanto cittadini. Tutt’altro.  Ma non si possono rovesciare i fatti. La Repubblica di Salò fu illegittima, ruppe con la legittima autorità istituzionale, che aveva destituito Mussolini, cambiato il governo e cambiato finalmente rotta rispetto ad una guerra di aggressione indegna e disastrosa. Salò si mise al servizio del potere straniero nazista che da alleato era diventato occupante e poi feroce nemico. Furono  20.000 le “SS italiane” di Salò che giurarono fedeltà al Reich. La RSI cedette alla Germania parti del territorio nazionale, coadiuvò stragi, torturò, contribuì ad inviare tanta gente nei campi di concentramento. Non è possibile per una Nazione che abbia dignità e memoria considerare tutto ciò una co-belligeranza.
Se i nazisti, e con loro quelli di Salò, avessero vinto avrebbe vinto il disegno hitleriano: soluzione finale per ebrei ed altre etnie, altri popoli resi schiavi della “grande razza ariana”, nuove guerre e chissà quali altre atrocità. Chi combattè per queste finalità e venne per fortuna sconfitto non può oggi certo essere equiparato ai soldati ed ai partigiani che con la Resistenza conseguirono la vittoria della umanità e della democrazia per tutti, anche per nemici così spietati.
LA COSTITUZIONE NASCE DALLA RESISTENZA
Il 25 giugno del 1944 un decreto del governo Bonomi, frutto dell’accordo tra Partito d’Azione, socialisti, comunisti, liberali, DC e Democrazia del lavoro stabilisce che:
“dopo la liberazione del territorio nazionale le forme istituzionali saranno scelte dal popolo italiano che a tal fine eleggerà a suffragio universale diretto e segreto una assemblea costituente per deliberare la nuova costituzione dello Stato”.
Dunque nel pieno della guerra le forze politiche impegnate nella Resistenza concordano di consegnare al popolo, appena la guerra sarà finita, il potere di decidere. Qui si trova la naturale premessa della Costituzione democratica: nell’impegno di dare ai cittadini la diretta e piena sovranità politica.
Del resto la Resistenza aveva messo radici nel popolo, aveva acquisito carattere e sostegno di massa, si era diffusa in tutti gli strati sociali, e solo per questo potè operare. Oggi anche questo viene contestato dal revisionismo della storia che parla di una guerra civile tra una minoranza di “rossi” ed una di “neri” mentre il Paese era una grande e passiva “zona grigia”.  Ma questo non è vero. È vero che ci fu una zona passiva più o meno consistente nella popolazione. Ma ci furono robuste aree di popolo che sostennero in mille modi, ed anche con grandi rischi, la Resistenza armata in quella che fu solo secondariamente una guerra civile, principalmente la lotta per liberare l’Italia dagli occupanti stranieri e da una dittatura fascista che oramai permaneva solo grazie a questi occupanti.
Il numero delle vittime nel popolo, direttamente collegate al moto resistenziale, è valutato attorno ai 200.000 caduti, di cui circa 60.000 combattenti in armi: sono cifre che smentiscono tragicamente gli assunti revisionisti. Fu un vento che coinvolse molta gente, un vento di idee innovative e di libertà che spazzò l’aria stagnante ed irrespirabile del pensiero unico del duce.
Non fu un fuoco di paglia, non si esaurì col 25 aprile 1945. Certo le cose cambiarono rapidamente dopo la Liberazione: la conflittualità tra le componenti politiche e sociali che avevano insieme dato vita alla Resistenza andò sempre più acutizzandosi; guerra fredda, scontro sociale, divergenze aspre  presero la scena. Proprio per questo va sottolineato e ricordato come, ciò nonostante, la collaborazione per comuni finalità che aveva avuto radice nella Resistenza sia proseguita sino a dare frutti decisivi per il futuro del Paese. L’Italia poté quindi liberamente e pacificamente scegliere la Repubblica ed eleggere una Assemblea Costituente di grande valore. Essa voltò completamente pagina rispetto al precedente statuto albertino, lavorò con elevatissima cultura istituzionale, aperta al mondo e legata alla nostra storia migliore, con determinazione costruttiva e feconda. Molti dei costituenti erano stati tra i protagonisti dell’antifascismo e della Resistenza, fino a vivere fianco a fianco sacrifici e lotte comuni, anche per questo riuscirono a fondere validamente elementi e principi di diversa provenienza culturale ed ideale. Venne creato un testo certamente composito ma non un agglomerato eterogeneo bensì una sintesi coesa e coerente. Lì ci sono le regole che hanno permesso agli italiani di convivere, di percorrere molto cammino, di superare momenti anche difficilissimi. Ciascuno ha potuto battersi per le proprie idee nella libertà.
NO A STRAVOLGIMENTI DEI PRINCIPI COSTITUZIONALI
Nella Costituzione vivono il principio della democrazia che si fonda sul lavoro, gli inviolabili diritti di libertà dell’individuo ed i doveri del cittadino, il principio di eguaglianza non meramente formale. L’unità della Repubblica con un ampio sistema di autonomie. La laicità dello Stato e la libertà religiosa. Il ripudio della guerra, la pace e la collaborazione tra i popoli come base per i rapporti internazionali.
Ecco perché  oggi  forze che rappresentano la Resistenza, come l’ANPI in primo luogo, non condividono e lanciano un allarme su quelli che si prospettano come stravolgimenti della Carta costituzionale.
È naturale che la Costituzione veda evolvere questo o quel meccanismo istituzionale per adeguarsi ai cambiamenti della realtà. Temi come la stabilità dell’esecutivo, un avanzamento di forme federaliste, le novità derivanti dalla Unione Europea, le questioni relative all’ambiente possono richiedere innovazioni. Ma non si devono manomettere le basi e i principi.
Il Parlamento, espressione democratica della sovranità popolare, non deve essere mortificato per concentrare tutti i poteri significativi, compreso quello di scioglimento delle Camere, nella persona del capo del governo: è una cosa di estrema pesantezza, con una logica ben diversa da quella che è alla base della Costituzione attuale.
Non si può ridurre la figura del Presidente della Repubblica ad una pallida ombra senza poteri. Come potrà questa figura assolvere alla funzione così necessaria di garante della Costituzione e di rappresentante della Nazione in queste condizioni? Non potrà.
Non si debbono indebolire le prerogative della Corte costituzionale e l’indipendenza della Magistratura aumentando di converso il peso del potere esecutivo. Viene così a mancare quell’equilibrio dei poteri che è l’anima stessa della democrazia.
E non si può rischiare di andare verso un federalismo caratterizzato da logiche non di autonomia solidale bensì da esclusivismi regionali chiusi, forieri di processi disgregativi.
Questi pericoli vanno evitati, con la riflessione di tutti, sottraendo la legittima discussione sulle riforme costituzionali a logiche di “tattica politica” e di fazione.
Anche in questo modo rimarranno vitali la lezione ed i frutti della Resistenza , la gratitudine verso chi ne fu protagonista, fino al sacrificio supremo, la fedeltà a quei valori.