A cento anni dal suo assassinio, avvenuto a Pavia il 21 aprile 1921 per mano fascista, l’ANPI cremonese lo ricorda
Ferruccio Ghinaglia nacque il 27 settembre 1899 a Casalbuttano, figlio di un commerciante e di una maestra. Dal 1907 la famiglia si trasferì a Cremona. Iscritto al Liceo vi fondò il foglio “Lo Studente”: di impronta socialista ed antimilitarista ebbe vita breve, osteggiato da un ambiente interventista e dalle autorità. Appena sedicenne entrò nelle file del socialismo cremonese e ne divenne poi segretario della Federazione giovanile. Militando nella corrente della sinistra del PSI nel 1919 creò “Il bolscevico”, giornale di impronta leninista. Nel 1917 aveva concorso con successo per un posto gratuito al Collegio Ghislieri di Pavia e si era iscritto alla Facoltà di Medicina di quella Università. Chiamato alle armi iniziò il corso allievi ufficiali a Modena e ne fu presto espulso per le sue idee politiche. Fece quindi il semplice militare, alla fine della guerra, a Cremona come “aiutante di sanità”. E ne approfittò per riprendere appieno i contatti e l’attività politica nella nostra provincia. Dopo di che, ad inizio 1920, si trasferì al Ghislieri di Pavia per gli studi universitari.
Pur studiando con profitto, si dedicò con grande impegno e sacrificio alle lotte sociali e politiche in quella realtà. Fu segretario del circolo giovanile socialista ed esponente di punta della corrente comunista, caratterizzandosi per l’organizzazione delle “guardie rosse”, dei “ciclisti rossi” ed anche degli “Arditi del popolo” e per il sostegno ad organismi proletari che riecheggiavano le tesi ordinoviste e gramsciane. Partecipò attivamente ai grandi scioperi nelle campagne ed al movimento della occupazione di fabbriche della realtà pavese, fu tra i protagonisti della nascita del partito comunista a Pavia, ne fu il primo segretario e forte divulgatore coi giornali “Vedetta rossa”, “Falce e martello” e “Idea nostra”. Nella tempesta di quel periodo propugnò la necessità della unità dei militanti proletari oltre i confini determinatisi al Congresso di Livorno. Era divenuto popolarissimo, pertanto odiato e minacciato dal violento squadrismo pavese. La sera del 21 aprile del 1921 aveva tenuto una riunione della “Lega proletaria degli ex combattenti mutilati e invalidi” (da lui stesso fondata) e si avviava a piedi con alcuni compagni per un’altra riunione in una cooperativa in Borgo Ticino. Aveva appena varcato il ponte coperto sul fiume quando una squadra fascista in agguato aprì il fuoco: lui fu ucciso, i suoi compagni feriti.
Abbiamo tratto questa nota biografica da “Scritti di Ferruccio Ghinaglia” edito dalla Federazione PCI di Pavia nel 1971, da “Ferruccio Ghinaglia”, curato da Rifondazione Comunista di Cremona e Pavia nel 2001 e dalla voce “Ghinaglia Ferruccio” della Enciclopedia dell’antifascismo e della Resistenza, firmata A. Pa. (Armando Parlato).
Notizie su un saggio di Ancona, su una prefazione di Luigi Longo e su alcuni articoli di Ghinaglia
La vita di Ferruccio Ghinaglia fu stroncata quando, ancora studente, aveva solo 21 anni. Pertanto la documentazione di scritti suoi propri o a lui relativi non può che avere gli oggettivi limiti quantitativi che da questi derivano. Ciò considerato, diamo conto di alcuni materiali significativi.
“Rivista storica del socialismo”, numero 12 anno 1961, pubblicò un prezioso saggio di Clemente Ancona: “Ferruccio Ghinaglia e il primo comunismo pavese”. Vi si documenta l’esperienza nella gioventù socialista, quella dei due numeri de “Lo studente” e come esso fu chiuso “per invito della polizia e per l’opposizione dei redattori” sul tema antimilitarismo. Il saggio osserva quindi il periodo del servizio militare e “la sensibilità e l’attenzione per la rivoluzione sovietica” che caratterizzarono molti scritti de “Il bolscevico” pubblicato a Cremona. Viene poi descritta la forte attività esplicata a Pavia, a partire dal dibattito e dalla lotta politica in un forte partito socialista, che sfociò nella scissione comunista. L’avvio del PCd’I di Pavia, con Ghinaglia segretario, coincise con durissimo contrasto al nascente fascismo e sopratutto con concrete attività e lotte sociali sulle condizioni dei contadini, degli operai, degli ex combattenti. Ancona dà essenziali notizie sia sulle devastazioni ed i crimini che fin dal 1920 compirono i fascisti pavesi sia dei caratteri di quella dialettica politica e di quelle lotte sociali. Questo saggio fu ripubblicato nel citato opuscolo di Rifondazione del 2001.
Nel 1971 Luigi Longo, allora segretario del PCI, introdusse con un suo contributo l’opuscolo “Scritti di Ferruccio Ghinaglia”. Longo lo definisce “uno dei primi martiri del PCI” e sottolinea in modo particolare sia le motivazioni politiche con cui Ghinaglia sostenne la necessità della nascita del PCd’I sia i caratteri e l’intensità delle azioni concrete con cui accompagnò il discorso politico. In proposito cita uno degli scritti di Ghinaglia: non basta la propaganda, non basta insegnare la dottrina socialista ma “per insegnare a fare si deve fare…”.
Longo riprende il tema e non tace che “la scissione stessa peccò di settarismo (…) avvenne troppo a sinistra” e tardò il lavoro per una politica di unità d’azione subito dopo. Su ciò ritrova in alcuni momenti e scritti di Ghinaglia una particolare sensibilità (specie col rapporto nell’ambito dei giovani) sulla necessità e la possibilità di una lotta comune tra le correnti rivoluzionarie nella prospettiva del progresso del lavoro e del socialismo.
L’opuscolo del 1971 riproduce quindi diversi scritti.
La serie si apre con un articolo per “Lo Studente” che, dirà Ancona, causò la fine del giornale. Ghinaglia, sedicenne, commenta il libro di Romain Rolland “Al di sopra della mischia” (premio Nobel nel 1915): pur rilevando che Rolland non va alle radici delle cause della guerra “il nostro cuore batte all’unisono col suo” contro “le assurde chimere di conquista” e quando “invita gli uomini a ragionare per non odiarsi, per non uccidersi.”
“Noi che abbiamo maledetto tutti gli eserciti, combattuto contro tutte le guerre (…) oggi associamo l’idea di esercito all’idea di comunismo”: questo l’inizio dell’articolo apparso su “Vedetta rossa” del 12.9.1920 col titolo “Esercito comunista”. In esso si contrappone al militarismo nazionalistico ed alle sue guerre la guerra dell’ esercito rosso il cui “soldato acquisti la coscienza della sua forza, si guidi e si amministri da sé attraverso i suoi Consigli, adoperi contro la borghesia quel fucile che la borghesia gli ha dato.”
Con “O Lenin o Turati” (in “Vedetta Rossa” 12. 10. 1920) Ghinaglia parla della contrapposizione che si è creata tra le idee e la pratica del riformismo ed il programma rivoluzionario della III Internazionale.
Nel dibattito congressuale che porta alla assise di Livorno, su “La Plebe” del PSI pavese del 13.11.1920 compare un intervento di Ghinaglia, “Mozione d’ordine”, con cui egli rivendica la massima coerenza tra l’adesione alla Terza Internazionale e le scelte che ne derivano. Pur con “l’affetto e la venerazione che lega anche noi comunisti alle figure fulgide e meravigliose dei nostri maestri di un giorno, non si può oggi parlare di conservare un’unità che non c’è più.” Così su “La Plebe” della settimana successiva, 20.11.1920 col titolo “Chiarezza” egli sintetizza in 4 punti il programma dei comunisti: la “preparazione del programma insurrezionale del proletariato”, evitare “rivolte inutili e disordinate” ed altre contraddizioni nella azione dei sindacati, delle leghe, delle cooperative ecc., la necessità della “più perfetta omogeneità di pensiero e la più rigida disciplina fra gli inscritti al Partito”, non sottrarsi “ai deliberati della Terza Internazionale”. Proprio su quest’ultimo punto verte “Una domanda” da lui rivolta al Direttore de “La Plebe” e pubblicata il 4.12.1920.
Ormai alla vigilia di Livorno “Vedetta Rossa” del 15 gennaio 1921 riporta lo scritto “Diserzione” sulla necessità per i comunisti “a formare il loro partito forte, disciplinato, senza pesi morti…”. Da qui l’appello “alla infima minoranza di giovani (della FGS) che non è con noi” a “non disunirsi dalla loro Federazione e dalla Terza Internazionale” a fronte della asprezza delle battaglie che ci attendono.
Su “Vedetta Rossa” del 11.2.1921 compare un commento di Ghinaglia al “Congresso nostro”. Proprio quel giorno infatti avrebbe avuto luogo il congresso costitutivo della Federazione PCd’I di Pavia e ad esso avrebbe contribuito la federazione giovanile. Sottolinea l’importanza di ciò e si dice certo che i “rivoluzionari del PSI” che non sono venuti subito con noi “verranno con noi per forza di cose e per forza di cose gli altri andranno con la borghesia”.
L’ultimo dei testi ripresi nell’opuscolo del 1971 precede di poco il giorno del tragico assassinio. Compare su “Falce e Martello” del 19.3.1921 col titolo “Santa canaglia”. Più che un rigoroso discorso politico è un grido indignato contro la criminale crescente violenza squadrista di quei giorni. Per soffocare la voce di chi si ribella alla fame e alla miseria “crepitano le rivoltelle… giovani vite sono spezzate con violenza bruta”. Vengono citati esempi come “il ragazzo di Firenze”, il bersagliere di Ancona, la “fanciulla diciassettenne di Pola”, un “giovanetto pugnalato al ventre”. “Giorni tristi questi, pel canagliume proletario… si leva al cielo il pianto delle mamme e l’imprecazione dei detenuti. Corre sangue per le strade… è sangue plebeo, son lacrime proletarie. … turpi ceffi ghignano di un ghigno macabro e malvagio. La patria è salva e la cassaforte è sicura, la rivoluzione è domata, la canaglia è in carcere e la terra copre il cadavere dei suoi capi. Si può respirare col denaro mal accumulato… coi profitti di guerra… Resta ancora tanto oro per pagare gli assassini”.
I discorsi al suo funerale
La “Tipografia Cooperativa Proletaria” di Cremona pubblicò subito dopo il funerale l’opuscolo: “Discorsi pronunciati al Cimitero di Cremona il giorno 24 aprile 1921 sulla bara di Ferruccio Ghinaglia”. Li citiamo qui con brevi estratti.
Alcide Malagugini (Sindaco di Pavia): “… a nome della città di Pavia, a nome delle Federazioni e delle Sezioni socialiste e comuniste della provincia, affratellate nel dolore… compagni ditelo ai vostri figli: bisognerà ricordarsi dei precursori e dei martiri e venire in mesto pellegrinaggio d’amore e di gratitudine a visitare le tombe sacre di coloro che, come Ferruccio Ghinaglia, hanno irrorato del loro sangue generoso le vie nuove della nuova umanità…”
Carlo Armanini: “a nome della Associazione Studenti Universitari di Pavia e degli studenti della Facoltà di Medicina a cui tu appartenevi… la famiglia universitaria ha perso una delle sue più vivaci intelligenze… il tuo Rettore (ha detto che) Ferruccio non avrebbe mai potuto perdere il suo posto d’onore al Collegio Ghislieri… ti vedevamo presentarti sicuro e riuscire trionfante per esito brillante agli esami…”
Attilio Boldori: “L’idea non si sopprime con le armi. Ove cadono martiri l’idea brilla di luce più vivida… L’Italia ha lasciato instaurare in questi ultimi mesi il regime del terrore contro i socialisti, gli assassini sono impuniti… Ferruccio Ghinaglia rappresenta per noi un sacrificio che ingigantisce il suo nome…”
Dante Bernamonti: “Abbiamo lottato e vissuto al tuo fianco… si affaccia alla mente una folla di ricordi, di episodi indimenticabili… Giovanetto appena, quando i bagliori sinistri della guerra si affacciarono all’orizzonte venisti spontaneamente da noi… Fosti studente in mezzo all’ubriacatura di spirito guerresco che tutti aveva invaso e che contaminava la maestà austera della scuola… tu non piegasti mai”. “L’assassino forse non verrà nemmeno punito… oggi poco si può attendere per chi milita nelle nostre file dalle garanzie delle leggi”. “Volevamo trasportarti attraverso la città tua ma non si volle: così vuole l’ordine. Ma Cremona proletaria è tutta qui per renderti il più solenne ed affettuoso saluto…”
Mario Lanfranchi: “…dovrei portare a te, o Ferruccio, la parola estrema di quanti nella provincia pavese ti ebbero, come me, amico affettuoso e compagno instancabile nel lavoro per le rivendicazioni delle classi proletarie… ti si uccise per togliere il perno della vita comunista nella nostra provincia. L’altro giorno ci trovammo per l’ultimo nostro convegno a Voghera… a me raccomandasti di vivere appartato perché c’era pericolo… io ti dissi che se qualcuno è preso di mira a Pavia quello sei tu! Tu mi rispondevi: morirei volentieri se sapessi di non dare dispiacere a mia madre…
Dante Cabrini “per la gioventù comunista cremonese”: “… ti fui compagno di fanciullezza, d’armi e di idee… proprio a me è dato oggi il doloroso incarico di portare qui l’ultimo saluto… la notizia della tua morte ci ha scossi ma ci ha temprati gli animi, ha aumentato la nostra fede in quelle idealità comuniste di cui eri strenuo difensore ed instancabile propagatore… continueremo con maggior tenacia ed ardore…”
Alberto De Scalzi: “A nome della gioventù socialista cremonese che con orgoglio ti ebbe per diversi anni compagno di fede e di lotta e per la stima e l’amicizia che sempre conservammo anche dopo il congresso di Livorno che ti portava nelle file comuniste, io porto alla tua salma un commosso riverente saluto. Insieme fantasticammo sulla emancipazione proletaria nelle brevi ore di nostra compagnia… Quanta perversa malvagità è in questi bruti… si illudono di avere nel delitto compiuto fiaccato e frenato il risveglio proletario. Non sanno di averlo ingigantito e rinsaldato…”
Giovanni Baetta per la famiglia: “… ti accompagnarono ieri al limitare della città delle cento torri, ti accompagnano oggi all’ultima dimora della città natale una fiumana di popolo… è un corteo immenso costituito da tutte le gradazioni sociali che si associa allo strazio della madre, un intero popolo che si associa alla nostra famiglia in lutto, condanna il delitto… col proposito di non tollerare oltre gli attentati ai precursori di una società migliore…”
Il resoconto annota infine: “Per cause indipendenti dall’Egregio Signor Pozzoli Tarquinio, Sindaco di Cremona, non si possono avere le parole da lui pronunciate”.
“L’eco dei comunisti” e “Lotta di popolo”
Sulle pagine de “L’Eco dei comunisti”, settimanale della Federazione PCd’I di Cremona, che uscì nel 1921 e nel 1922, si ritrovano diversi articoli. Il 30 aprile 1921 si dà conto dei funerali. Vi leggiamo: “Il compagno Pozzoli, appena avuta notizia dell’assassinio, dispose perchè la Federazione provinciale comunista accorresse immediatamente a Pavia. E lui stesso, benché febbricitante, quale segretario della nostra Federazione ha voluto recarsi sul luogo del delitto per disporre d’accordo con la famiglia, coi colleghi d’Università e coi compagni di Pavia le onoranze funebri”. Dopo “imponentissimi funerali” a Pavia la salma fu trasportata a Cavatigozzi dove si allestì la Camera ardente e di là poi portata nel cimitero di Cremona. Il giornale riferisce che “la mamma del povero Ferruccio volle essere anche essa al cimitero, ascoltò i discorsi assentendo alle frasi che più rispecchiavano l’intimità del suo caro figlio. Una frase sua rileviamo … “se c’è un galantuomo fra i fascisti deve uscire…” Ed un atto vogliamo segnalare: il bacio alla bandiera rossa dei soviet che tanto fu amata da suo figlio.”
Il 14 maggio seguente c’è un ampio ricordo di Dante Bernamonti ed una nota della sezione comunista di Grontardo, riunita in assemblea, sul “compagno carissimo assassinato barbaramente”. Bernamonti sottolinea in particolare il coraggio e l’impegno con cui, negli anni del Liceo a Cremona, svolse una instancabile propaganda contro la guerra in un ambiente di “ubriacatura guerraiola” ed anche con molte iniziative nei paesi della provincia. L’articolo si conclude con una frase della coraggiosa madre di Ferruccio: “… il suo martirio sarà la miglior semente per il comunismo…”
Il 2 luglio 1921 l’Eco reca “Gli assassini del compagno Ferruccio Ghinaglia arrestati?”. Nel testo si usa il condizionale e si dubita comunque che sarà fatta giustizia nei confronti dei “tre figli di distinte famiglie della borghesia pavese” arrestati. Il 24 settembre viene riportato integralmente l’articolo, sopra citato, “Santa canaglia”.
Tutto il numero del 17 dicembre 1921 è dedicato alla uccisione per mano fascista, come quella di Ghinaglia, di Attilio Boldori, avvenuta il giorno 11 nei pressi di Casalbuttano.
Il 21 gennaio 1922 l’Eco informa che il giorno 7 un gruppo di fascisti capeggiati da Gino Duri è entrato nella cooperativa “L’Avvenire”, zona Porta Romana, ed ha cercato senza riuscirci di staccare dalla parete il quadro con l’immagine di Ferruccio Ghinaglia. Lo stesso giornale il 3 giugno riporterà il crimine in cui sarà coinvolto (si parlerà di “fratricidio”) Gino Duri e la sua squadraccia: la uccisione del fratello di Gino, Mario, avvenuta il 3 giugno all’osteria del Salice in via Morbasco .
Molto significativa una intera pagina de “l’Eco dei Comunisti” del 18.2.1922. Titolo: “I fascisti uccidono, i carabinieri aiutano, la magistratura assolve”. Si riportano casi di delitti degli squadristi con i relativi comportamenti delle “forze dell’ordine” e successivi esiti giudiziari. Nella pagina la nota “Il processo per l’uccisione del compagno Ferruccio Ghinaglia” parla del procedimento avviato in Corte d’Assise a Pavia e dà per certo che “gli agrari che costituiscono la Corte insieme con i magistrati fascisti assolveranno.” Lo stesso avverrà, scrive ancora l’Eco, per le uccisioni di Attilio Boldori e di Carlo Soldi… mentre “il procuratore del Re ha paura delle minacce di Farinacci”.
Nell’anniversario della morte di Ghinaglia l’Eco del 22 aprile 1922 pubblica un articolo di Gino Rossini e un comunicato del PCd’I e dei Giovani comunisti: “… la giustizia borghese assolse l’assassino che ti freddò … gli uomini che ti hanno ucciso hanno continuato nei loro delitti… gli assassini guardano con ghigno beffardo e soddisfatto alla ottenuta impunità.”
Il giornale dovrà cessare di uscire a fine anno, l’ultimo numero è uno striminzito foglietto del 9 dicembre 1922, reca una immagine di Attilio Boldori per l’anniversario della morte. Anche per lui “dicemmo che la giustizia borghese non avrebbe colpito gli assassini. Così è oggi.”
Dopo la Liberazione la Federazione cremonese del PCI pubblicherà il periodico “Lotta di popolo”. Vi si leggono in varie occasioni e ricorrenze articoli che ricordano la figura di Ferruccio Ghinaglia. Di particolare rilievo ed interesse è la serie di 4 articoli che compare nei numeri del 23 e 30 maggio e del 20 e 27 giugno 1947 col titolo “Ferruccio Ghinaglia: un Eroe del popolo cremonese”.
La serie reca la firma di Peppino Sinforiani. In una nota del suo saggio Clemente Ancona lo definisce “giovane avvocato radicale” che dopo la Liberazione ricostruì “la versione esatta dei fatti” con una meticolosa consultazione delle carte processuali. Diamo di seguito conto di questo scritto.
L’assassinio e il processo
Scrive Sinforiani all’inizio della serie che “Ferruccio Ghinaglia (a Pavia) era continuamente minacciato e da quindici giorni prima della sua morte gli era perfino impedito di frequentare le lezioni universitarie”. Per la sera di quel 21 aprile numerosi fascisti “si erano dati convegno al Ponte Vecchio per una spedizione in Borgo Ticino (…) poco dopo le ore 21 una pattuglia di quattro fascisti armati, dopo aver attraversato il ponte sul Ticino incontrò un piccolo gruppo nel quale si trovava Ferruccio Ghinaglia”. Vi era gente ma “gli assassini mossero decisamente verso il gruppo di Ghinaglia e contro di questo a breve distanza scaricarono le loro armi colpendo mortalmente Ghinaglia e ferendo altri…”. “I compagni che gli stavano vicino riuscirono a salvarsi buttandosi a terra e furono gli inesorabili testimoni che la furia fascista cercò di far tacere…”
In anni successivi “alcuni di questi sono morti ma altri sono ancora in vita, pronti a consacrare alla giustizia la verità storica dell’accaduto”.
Qualche settimana dopo il fatto tre fascisti furono “indiziati e fermati dalla Questura”. Essi “negarono di aver partecipato al delitto”: due (Giuseppe Tessera e Luigi Dainotti) dissero di aver sentito gli spari quando ancora non avevano attraversato il ponte, l’altro (Aldo Dagnoni) disse che era in un bar, il Caffè Kursaal. I tre ammisero che era prevista una “spedizione” fascista in Borgo Ticino.
I tre arrestati “dopo parecchi mesi di carcere finirono per rivelare i nomi dei responsabili”, che però intanto si erano eclissati “con l’aiuto dei dirigenti del fascio locale”. Il vice federale Naj Savina e il prof. Nicolato del fascio di Pavia tentarono di dissuaderli dal fare i nomi anche con visite in carcere ma non ci riuscirono. Così i tre vennero assolti in istruttoria mentre, individuati ed “inseguiti da mandato di cattura”, si costituirono confessandosi “autori del delitto” gli studenti Ghizzini Giorgio, Miglioli Jader, Fiore dr Nicola di Cremona e Balducci Benedetto.
“Rinviati a giudizio furono assolti per aver agito in istato di legittima difesa, dopo il dibattimento che si svolse in un’atmosfera di violenza e di coercizione morale”. (E’ il processo di cui dà notizia “l’Eco dei comunisti” del 18.2.1922).
Si trattò di una vera e propria “ridicola beffa giudiziaria”, afferma Sinforiani, poiché “tutti gli elementi acquisiti e le risultanze di causa erano tali da escludere la legittima difesa.” A partire dal fatto accertato che i quattro autori del delitto erano sul posto per una spedizione di violenza ed aggressione e non certo per una pacifica passeggiata. “I numerosi testi di accusa, i soli presenti al fatto, concordemente dichiararono che gli aggressori spararono a breve distanza ripetuti colpi di rivoltella contro lo sparuto ed inerme gruppo nel quale si trovava Ghinaglia, senza essere stati minacciati o molestati”. L’assassinio fu voluto e non casuale o involontario. La perizia mostrò le tracce numerose dei proiettili sul muro della casa Beretta davanti al quale stavano passando Ghinaglia coi suoi amici ed erano segni di colpi sparati da molto vicino e ad altezza d’uomo. Il colpo mortale, diceva la perizia, “fu esploso a breve distanza, data la forza di penetrazione (trapassò la parte colpita) ed il piccolo calibro dell’arma (rivoltella calibro 6.35)”.
Gli imputati sostennero di aver iniziato a sparare giunti all’imboccatura del ponte contro supposti aggressori. Una versione dei fatti palesemente contraria ad ogni testimonianza e riscontro.
Si esplicarono omertà ed azioni da parte del fascio di Pavia che influirono pesantemente sul processo (tanto che “se ne fa coraggiosamente cenno nella requisitoria del Procuratore generale”). Il fascio agì per sottrarre ad ogni costo i colpevoli alla giustizia. Prima facendo pressione in carcere sui tre indagati (“il Tessera fu persino espulso dal fascio da parte del prof. Angelo Nicolato per aver rivelato i nomi dei responsabili”). Poi l’opera di intimidazione si esercitò anche verso i testimoni con una “intensa attività di persecuzione”. Alcuni di loro furono anche “costretti a fuggire ed in tal modo eliminati quali testi”, altri subirono aggressioni e violenze. Presenziavano al processo fascisti in camicia nera, alcuni tenevano comizio con minacce ai testimoni. “Qualche teste fu costretto a fuggire, dopo le deposizioni, da una uscita secondaria del tribunale perché avvertito da una guardia regia che i fascisti bloccavano le principali vie di accesso per aggredirlo. Lo stesso avvocato Negro di parte civile fu aggredito e gravemente percosso e dileggiato da numerosi gruppi fascisti che improvvisavano dimostrazioni di plauso per gli imputati assolti. Anche i giurati erano impauriti…”
Ora l’Autorità giudiziaria avrebbe il dovere di rivedere quel processo, conclude nel ‘47 Sinforiani in questo ultimo articolo, che reca il titolo: “Ferruccio Ghinaglia chiede giustizia. Bisogna riaprire il processo ai suoi assassini.”
Il monumento nel cimitero di Cremona
La tomba di Ferruccio Ghinaglia nel cimitero di Cremona è situata vicinissima all’ingresso della grande “crociera levante” di destra venendo dall’ingresso principale, comparto E alle spalle dell’altare della patria. Leggiamo in “l’Eco dei comunisti” del 5 novembre 1921: “Inaugurazione del monumento a Ferruccio Ghinaglia”. Vi si dà notizia dello scoprimento della statua e dei discorsi di Mariani della Lega proletaria, Verzeletti per il PSI e la Camera del Lavoro, Pozzoli segretario PCd’I e Belloni del PC di Milano. Segue una nota sul monumento: è una “vera opera d’arte” che raffigura “il tribuno che dall’arengo parla agli oppressi di redenzione e chiama i popoli del mondo ad amarsi tra loro”. Compare “un tristo simbolo ai suoi piedi, rospo umano uscente dal pantano, accecato e inviperito dalla luce, con la doppiezza della sua espressione, sogghigna e uccide”.
Il monumento è opera dello scultore Adamo Anselmi (Cremona 1888-1957, frequentò l’Accademia Carrara di Bergamo, numerose le sue opere nel nostro cimitero, tra esse la statua, creata nel 1947, sulla vicinissima tomba ad Attilio Boldori.)
Vecchi antifascisti ci hanno tramandato che durante il ventennio fascista ogni tanto qualcuno, magari nottetempo, metteva nella mano protesa della statua di Ghinaglia un fiore rosso… segno di una idea che non era morta… la questura si mobilitava, ma pare sempre invano.
L’ANPI cremonese in questo centenario ha deciso di far effettuare una ripulitura delle parti della pietra d’Istria ammalorate negli anni.
Un busto in memoria del sacrificio di Ferruccio Ghinaglia è eretto in Borgo Ticino in Pavia.
Col suo nome le nostre brigate garibaldine
Il ricordo di Ghinaglia rimase fortemente impresso nell’animo degli antifascisti. Quando, nella primavera del 1944, il PCI di Cremona organizzò il passaggio delle proprie SAP alla lotta armata, nel territorio provinciale si formarono 4 brigate garibaldine ed il relativo Raggruppamento venne intitolato “Ferruccio Ghinaglia”. Pare che ciò sia avvenuto su proposta del compagno Andrea Zeni, uno dei fondatori del PCd’I a Cremona. Egli era stato uno dei compagni ed amici più strettamente legato a Ghinaglia nel circolo giovanile socialista e nella redazione de “Il bolscevico”.
A Ferruccio Ghinaglia nel dopoguerra furono intitolate una forte Sezione comunista del capoluogo e la Sezione di Casalbuttano.
Il Comune di Cremona gli dedicò una via molto importante. La delibera, del 7 maggio 1945, si può leggere nel citato opuscolo di Rifondazione comunista del 2001. Anche a Casalbuttano ed a Binanuova c’è una via a suo nome.
(a cura di Giuseppe Azzoni, marzo 2021)
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