Giuseppe Azzoni – Pozzaglio 29 settembre 2013
Quella di Luigi Ruggeri, nome di battaglia “Carmen”, è figura tra le più forti della storia della Resistenza cremonese.
Luigi Ruggeri è nato a S. Martino in Beliseto il 24 dicembre 1920. Teniamo dunque presente che nel corso della guerra di liberazione ha 22 e 23 anni. La sua è una famiglia di un piccolo imprenditore agricolo. Non molto tempo dopo il padre cambierà lavoro, verrà ad abitare a Cremona, in via Buoso da Dovara, ed aprirà un’osteria con annessa salumeria. Luigi dopo le scuole lavora come commesso. Appena ne ha l’età, nel 1939, si arruola nella Guardia di Finanza, dove rimane fino all’otto settembre del 1943 ed ha il grado di sottufficiale. È un ragazzo di famiglia popolare, intelligente, che si impegna per costruire il proprio futuro. Ma ha carattere e idee. Quando, con l’occupazione tedesca del 9 settembre, anche a Cremona la locale Guardia di Finanza è posta davanti al ricatto di mettersi al servizio dei tedeschi, lui non ci sta. Non ci sta a collaborare con quei fascisti che, dopo lo sfarinamento totale del 25 luglio, erano tornati appunto al seguito dell’esercito hitleriano. Lui è tra quei numerosissimi giovani e quei militari che rifiutano, anche pagandone dure conseguenze. E va oltre il rifiuto, opera attivamente perché la croce uncinata ed il fascio vengano sconfitti.Subito nel settembre ’43 va a Milano per un breve periodo. Lo scrive Armando Parlato, sempre ben documentato, aggiungendo che lì si impegna nell’organizzazione dell’espatrio di un gruppo di ebrei in Svizzera. Quindi, ancora nello stesso autunno, entra nella Resistenza in una formazione di montagna dell’Appennino emiliano, tra parmense e piacentino. Qui è presente sostanzialmente fino alla fine della primavera 1944, quando è comandante di Distaccamento nel battaglione “Forni” – 31a Brigata – della Divisione garibaldina alpina “Val Ceno”. In questi mesi è protagonista di azioni partigiane importanti a Bore, in val d’Arda, in val Ceno… Per esempio, con audacissimo colpo di mano, a Fidenza guida il suo gruppo ad impadronirsi di 4 cannoni anticarro tedeschi. Durante il tremendo rastrellamento cosiddetto “dei mongoli” affronta il nemico in scontri a fuoco con esiti positivi, in uno di questi viene ucciso un comandante tedesco noto fucilatore di partigiani e di civili.
Nella primavera 1944 si afferma l’orientamento che non solo in montagna ma anche in zone di pianura si costruisca ed operi una significativa organizzazione militare partigiana. Questo non solo in vista del momento dell’insurrezione (che arriverà quasi un anno dopo) ma anche per creare da subito problemi nelle retrovie ai tedeschi ed ai repubblichini, indebolendone di conseguenza la linea sul fronte e le spedizioni antipartigiane in montagna.
Nella piatta e facilmente controllabile pianura cremonese sin da prima del settembre ’43 la Resistenza aveva il compito di orientare ed aiutare a sottrarsi ai bandi repubblichini i giovani di leva ed i militari sbandati e di indirizzarne un buon numero alle formazioni combattenti in montagna. Quindi di procurare viveri e vestiario, armi e risorse, nascondere prigionieri alleati fuggiti, svolgere azioni di propaganda, fondamentali per informare sulla verità della guerra e creare le condizioni per un ampio consenso popolare. A questa già molto rischiosa attività, che si svolgeva con positivi risultati, doveva ora affiancarsi il lavoro clandestino per avere attivi gruppi armati. Sono impegnati dal CVL, e dai partiti antifascisti tra i quali da tempo il PCI perseguiva questa linea, pochi uomini scelti che costruiscono le formazioni Garibaldi (“Ghinaglia”), Matteotti, Giustizia e Libertà, Fiamme Verdi, qualche squadra autonoma. Tra essi appunto c’è Luigi Ruggeri, distaccato a questo fine dalla montagna. Con lui Arnaldo Bera, Screm Menotti, i fratelli “Manno” e “Ferra” Uggeri, Andrea Zeni… Carmen opera per un breve periodo in città con un ristretto gruppo clandestino – un GAP – con rapide azioni “mordi e fuggi” e dirigendo il lavoro per formare la 4a Brigata (poi “Ghidetti”). Tenta anche un piano ambizioso, liberare dal carcere il capo delle “Matteotti”, Stefano Corbari, piano che non si potè attuare.
Il compito principale affidato al giovanissimo Ruggeri è l’organizzazione della 3a Brigata Garibaldi Ghinaglia operante in provincia (che poi assumerà il suo nome). Lavoro di organizzazione che si conduce contemporaneamente ad azioni armate a molte delle quali partecipa di persona. Il territorio è quello compreso tra la direttrice S. Giovanni in Croce – Solarolo – Cingia – Derovere e il fiume Po, ricomprendendo quindi la bassa di Stagno, Pieve d’Olmi, S.Daniele, Motta, Scandolara, Torricella. Gussola, Martignana. Un’area di particolare rilievo anche per quello che vi rappresenta il fiume e la sua golena. La altre brigate Garibaldi- Ghinaglia erano la 1a da Pizzighettone al cremasco compreso, la 2a nella parte posta a nord est della città, grosso modo da Pescarolo a Ostiano a Piadena, la 4a in città e comuni limitrofi. Nell’area Casalmaggiore – Bozzolo – Viadana opera una Brigata Garibaldi – GL. Ruggeri opera nell’area suddetta per alcuni, intensi mesi, cioè nell’estate del 1944, facendo parte nel contempo del Comando militare provinciale del Raggruppamento “Ghinaglia”. Di questo cruciale periodo e del modo con cui egli porta a termine il compito che gli è affidato si racconta in La Resistenza cremonese di Armando Parlato e in La Resistenza nel cremonese ristampato di recente dall’ANPI. Ma ho ritrovato nelle carte dell’archivio ANPI alcune inedite significative testimonianze.
Tullio Soragni di Cremona scrive che essendosi “dato alla macchia” nel giugno ’44 per sfuggire al bando RSI, Ruggeri gli diede i documenti falsi che gli permisero di cavarsela. Soragni parla anche di incontri in città, ai quali partecipò, tenuti da lui ed aggiunge che subito dopo la Liberazione “partecipai all’arresto dei responsabili della fucilazione di Carmen” (qui non fa nomi).
Stagnati Crescenzio, SAP di Porta Venezia, parla della presenza di Carmen in una azione armata che porta al disarmo di militi in servizio all’imbocco del cavalcavia del cimitero in città. Più di un partigiano di Gussola, da Erminio Lupi ad Amilcare Furini, scrive che nel costruire la SAP, tramite Natale De Micheli tornato dal confino, incontrano “Carmen” Ruggeri, con lui si compiono anche colpi di mano come quando si impossessano di un camion.
Libero Maffezzoli, di Solarolo R. testimonia che “nel giugno del ’44 arrivarono qui da noi i compagni Luigi Ruggeri “Carmen” e Paolo Bianchi “Pola” per guidare il nostro gruppo” ed ancora che lui con Luigi compirono una azione a Voltido che creò timori tra i repubblichini ed incoraggiò i compagni del paese. Anche in questo caso “Carmen” agisce e rischia in prima persona, non si limita a dare direttive. Questo era stato il suo modo di dirigere anche quando era in montagna.
Ancora da Solarolo la relazione del capo della SAP, Francesco Merlo “Athos”, sottolinea il determinante contributo di Carmen nel portarla all’altezza dei nuovi compiti trasformando il gruppo che si era messo insieme nel novembre ’43 e rendendolo efficace in azioni sia militari che politiche. In agosto, scrive, con Ruggeri si compie una azione con una sparatoria, ci si procurano armi e si dà un forte segnale di presenza.
Elsa Monteverdi di Cremona (la ricordiamo con commozione, ogni anno qui presente con noi, purtroppo ci ha lasciato il 1 marzo scorso) era staffetta partigiana, teneva i collegamenti tra Cremona e Palvareto e quindi tra Arnaldo Bera, incaricato dal CVL di Milano del lavoro militare nella nostra provincia, e Luigi Ruggeri che incontrò più di una volta.
A Palvareto Antonio Bini, contadino, ha la casa vicino al Navarolo, ben “nascosta e con la possibilità di andarci e di fuggire attraverso i campi” senza essere visti; vi si tengono diverse riunioni, dice Bini, dove “si combinano i piani delle azioni in gran segreto”. Simile la testimonianza di Pietro Bini, contadino di Scandolara Ravara: anche della sua casa tra i campi “Carmen” fa un punto di riferimento. Gino Nazzari di Scandolara vi partecipò ad un incontro da lui tenuto.
Mario Ferri, ferroviere di Stagno Lombardo, scrive che nell’estate del ’44 “procurammo molte armi e ne portammo a Palvareto a Carmen che organizzava la Resistenza nella zona”. Anche Ermes Goi, della stessa zona, scrive di aver operato con Luigi Ruggeri, dicendo anche che questi fu sostituito dopo la fucilazione da Paolo Bianchi (a sua volta poi catturato e sostituito dallo stesso Ermes per l’emergenza).
Altri parlano del lavoro comune con Carmen, nomi assai rilevanti di capi partigiani come Giacomo Nevi “Augusto” ed Angelo Pasquali “Manfredi”. In una relazione si descrive un’altra azione che fece scalpore e fu a lungo ricordata a S. Giovanni: con un’azione di sorpresa di un gruppetto armato da lui diretto costrinsero il podestà a distribuire aiuti ed alimenti alle famiglie del paese più in difficoltà.
Tragico e repentino l’epilogo, che ogni anno a fine settembre ricordiamo. Ancora il 10 settembre, leggiamo nelle testimonianze di Antonio Pasini e di Giovanni Soldi, era in una riunione clandestina a Scandolara, ma la sera del 20 settembre la sua instancabile e così rischiosa attività, che aveva ormai portato alla costituzione della 3a Brigata, fu stroncata. Come è noto quella sera Carmen si trova a Pozzaglio, in una casetta nella cascina Mirandola dell’agricoltore Cornelio Manfredi (questi fu arrestato subito dopo la Liberazione, fu presto rilasciato poiché non si ritenne colpevole per quanto era avvenuto, questa fu anche la conclusione del successivo processo).
La casetta era affittata dalla cugina di Ruggeri, Maria, la quale essendo sfollata ne aveva dato la chiave e la disponibilità a Luigi. Pare si desse per scontato l’assenso del proprietario. Va ricordato comunque che in quel periodo chiunque tenesse qualcuno nella sua proprietà anche per una sola notte ed in qualsiasi forma era tenuto a dichiararlo all’autorità di polizia del posto. La versione ufficiale in dettaglio di quanto accadde quella sera si può leggere nella sentenza del 14.3.1946 della Corte Straordinaria di Assise di Cremona (l’estratto che ci interessa è riportato nel libro di Parlato). In breve: nella casa con Ruggeri c’erano tre altri compagni partigiani. I proprietari della cascina se ne accorsero, ne chiesero ragione, volevano nomi e documenti dei presenti. Ne nacque una situazione tesa ed agitata, arrivarono due GNR del paese, poi una pattuglia da Cremona, nella stanza a piano terra si creò un parapiglia, si udì anche uno sparo (ma nessuno fu ferito), tra strappi e spintoni i tre compagni riuscirono ad uscire e fuggire nel buio. Ruggeri era andato al piano di sopra, forse per prendere qualche documento come gli era stato intimato, rimase intrappolato e fu catturato. Venne portato alla sede dell’UPI, la famigerata Villa Merli, triste luogo deputato a “far parlare” con ogni mezzo chi ci capitava. Fu percosso e torturato. In effetti i fascisti non sapevano bene che ruolo avesse ma qualcuno lo aveva riconosciuto come “sovversivo”, come “delinquente” (“volgare delinquente” lo definisce “Il Regime Fascista” quando dà notizia della avvenuta fucilazione) per aver “rapinato a mano armata” e malmenato un caporione fascista e per qualcosa d’altro di avverso al regime. Vogliono che confessi e dica quello che sa del movimento antifascista. Lui conosce nei particolari nomi, luoghi, tutto dell’organizzazione clandestina: se parlasse sarebbe una disfatta. La sua bocca rimane sigillata per i tre giorni e tre notti di chissà quali sofferenze (e lusinghe, perché gli viene anche offerta la libertà se decidesse di parlare, lo si saprà in seguito). La Resistenza cremonese ed emiliana ha in mente di chiederne la liberazione con uno scambio di prigionieri. Erano stati allora catturati tre gnr dalla brigata di Giovanni “Lo Slavo” sull’appennino piacentino, in quel di Prato Barbieri. Si predispone la proposta e il modo per farla avere ai fascisti di Cremona. Ma non si fa in tempo… gli eventi precipitano. In quelle ore in uno scontro a fuoco tra una pattuglia gnr e partigiani di Soresina era rimasto sul terreno il capo della pattuglia ten. Borelli.
L’UPI ed i tedeschi decidono una rappresaglia con la immediata fucilazione, senza processo, di Luigi Ruggeri. Appena dopo il sorgere dell’alba del 24 settembre 1944 “Carmen” è riportato a Pozzaglio dalla Villa Merli. E’ in condizioni spaventose, dicono le testimonianze, non si regge in piedi, pare debbano metterlo su un carrettino o una carriola per raggiungere il luogo dell’esecuzione, lo slargo di un angolo della via che esce dal paese, proprio dove ancora oggi c’è la lapide. Viene ucciso e nessuno può avvicinarsi al corpo esanime in terra, nemmeno il prete. Il cadavere deve rimanere per mostrare come finisce chi si mette contro l’occupante nazista ed il fascio.
La sua testimonianza morale, politica ed umana… il suo coraggio, il suo amore per la libertà ed il sangue che dette per essa non sono stati e non dovranno essere affievoliti e dimenticati!
Leggiamo su Fronte Democratico del 23 settembre 1945, primo anniversario della fucilazione, quando la causa per cui morì aveva vinto da pochi mesi, una frase che non è retorica perché tutta questa vicenda diventa sentimento forte e vero.
“Chi andasse a Besozzola, a Pellegrino Parmense, a Salsomaggiore, a Vernasca, a Bore, a Castellaro … chieda di “Carmen”: gli parleranno di un giovane biondo, aitante, bello e della sua gentile allegria…”
Fu tumulato a Pozzaglio. Tra le nostre vecchie carte ne ho trovato una di Gina Roncaglio, all’epoca attiva nella SAP di Cremona. C’è scritto: “Dopo la fucilazione del partigiano Luigi Ruggeri Carmen, con Lina Tacchinardi portammo fiori sulla tomba del martire”.
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