Saluti alle autorità civili e militari, alle associazioni d’arma.
Oggi, otto settembre, celebriamo il 70° anniversario dell’inizio della Guerra di Liberazione Nazionale.
Il 1943 fu infatti l’anno della svolta nella Seconda Guerra Mondiale.
Sul fronte orientale inizia la controffensiva dell’Armata Rossa e il 10 luglio lo sbarco degli Alleati in Sicilia.
Si acuisce così la crisi politica e militare del fascismo, che era già stato scosso dagli scioperi del marzo 1943 nelle fabbriche del nord Italia.Nella notte tra il 24 e il 25 luglio il Gran Consiglio del Fascismo approva l’ordine del giorno Grandi che mette in minoranza Mussolini e il re destituisce il duce e lo fa arrestare.
In tutto il paese si hanno manifestazioni pacifiche di gioia per la convinzione dell’imminente fine della guerra, del ritorno a casa degli uomini, della fine delle difficoltà economiche.
Il 3 settembre Italia e Alleati anglo-americani firmano un armistizio, che viene annunciato improvvisamente l’8 settembre con un messaggio radio di Badoglio. Un messaggio registrato, essendo il Maresciallo in quel momento già in fuga con la famiglia reale verso Pescara , senza che sia stato predisposto alcun piano per fronteggiare le truppe tedesche stanziate in Italia e sui fronti fino a quel momento comuni di guerra.
I tedeschi hanno così modo di occupare quasi tutta l’Italia nel giro di pochi giorni. Per l’esercito italiano, abbandonato dai suoi comandanti supremi e lasciato senza ordini, inizia lo sbandamento e molti soldati prenderanno la vita dei monti e della guerra partigiana che in questi mesi si andrà strutturando. Migliaia di militari italiani scelgono di resistere ai tedeschi, nelle varie zone dove operano fianco a fianco, spesso venendo passati per le armi.
È il caso di Cremona dove, il comando militare agli ordini del generale Florio oppose resistenza all’invasore nella giornata del 9 settembre. I bersaglieri alla Caserma Paolini, i Carabinieri alla caserma Santa Lucia, gli avieri, i fanti, i giovani del Collegio militare di Milano, la popolazione cremonese opposero eroica resistenza alle divisioni corazzate tedesche che presero la città alle ore 15. Nella Battaglia di Cremona caddero 29 fra civili e militari; 37 furono i feriti. I circa 700 militari della Manfredini e del distaccamento Pagliari vennero deportati ad Amnestein in Polonia.
Lo Stato si sfascia, ma l’8 settembre non è solo il giorno dello sfacelo. È anche il giorno delle scelte.
L’Italia dell’8 settembre fu un lungo treno di resistenze e di fughe, di ritorni, di deportazioni, di desolazioni.
Quando in quella sera di settembre non ci furono più ordini, ciascuno dovette scegliere da sé, rischiare l’errore, decidere il dovere.
Quando si parla di questa data il nostro pensiero va a quegli uomini e a quelle donne, va alla resistenza partigiana che fu la risposta politica dell’antifascismo italiano.
I partigiani furono all’inizio poche migliaia ma presto divennero circa 100.000 per poi passare verso la fine della guerra a quasi 300.000.
Un numero importante: la risposta politica all’entusiastica adesione iniziale all’avventura bellica del fascismo. Un’altra Italia aveva deciso di mettere in gioco la propria vita per la libertà.
Anche qui a Cremona a centinaia i giovani decisero di prendere la via della montagna, in Val di Susa, sulle Alpi o sull’Appennino, scelsero di combattere il fascismo; altri lo fecero in città, nella città di uno dei più feroci gerarchi fascisti, il filonazista Roberto Farinacci. A centinaia caddero, per liberarci da un’odiosa dittatura, che aveva gettato l’Italia nel fango, asservendola a un esercito straniero.
L’8 settembre 1943 è dunque una data fatidica per l’Italia. C’è chi ha parlato di “Morte della Patria” e chi, come il presidente Ciampi, ha replicato che quel giorno è morta una certa idea di Patria, quella fascista e ne è nata un’altra, quella di patria democratica.
Se riflettiamo con attenzione credo infatti si debba riconoscere che l’idea della morte della patria è una interpretazione parziale delle vicende di quel drammatico 1943. Lo dimostrano i tanti atti di eroismo compiuti per senso dell’onore nazionale, da soldati e civili che nella più totale assenza di direttive si assunsero individualmente la responsabilità di combattere i tedeschi o rifiutarono di entrare nei ranghi della repubblica di Salò, anche a costo di andare in campo di concentramento.
Due anni fa, qui in Palazzo Comunale abbiamo ricordato insieme la tragedia degli Internati militari italiani nei lager tedeschi: gli oltre 600.000 militari cioè che invece della guerra a fianco dei tedeschi e dei fascisti scelsero e pagarono la fedeltà alla loro bandiera.
In uno dei momenti più tragici del nostro paese essi seppero, spesso senza guida e senza ordini, dare avvio a una delle pagine più gloriose della nostra storia. Così, insieme a loro oggi ricordiamo anche uomini e donne, civili e militari, di idee e fedi politiche diverse che si batterono a Cefalonia, dove persero la vita 174 soldati cremonesi della Divisione Acqui, e nell’Egeo, sulle nostre montagne, nelle nostre città, nei campi di prigionia e di internamento militare; resistettero, non cedettero al nazismo e ai suoi servitori fascisti e così posero le basi della vittoria della ragione, della libertà, della repubblica e della nostra democrazia.
Molti italiani infatti scoprirono o riscoprirono l’amore della patria proprio nei mesi compresi fra la caduta del fascismo e l’inizio della Resistenza, come ricordava Piero Calamandrei affermando che, in questi giorni, “Si è ritrovata la patria”. Ancora più eloquente Natalia Ginzburg quando scrive che «Le parole “patria” e “Italia”… che ci avevano tanto nauseato fra le pareti della scuola perché accompagnate dall’aggettivo “fascista”, perché gonfie di vuoto, ci apparvero d’un tratto senza aggettivi e così trasformate che ci sembrò di averle udite e pensate per la prima volta. D’un tratto alle nostre orecchie risultarono vere».
Altri italiani vissero l’8 settembre come morte di quell’idea di patria in cui avevano creduto. Che si trattasse della patria monarchica o della patria fascista, non v’è dubbio che l’una e l’altra morirono insieme, anche se non nello stesso momento. Al tempo stesso, nelle sofferenze tremende di quei mesi, quando milioni di italiani si trovarono nella necessità di scegliere avendo per guida soltanto la propria coscienza, nacque un sentimento nuovo di patria. Si fece strada l’aspirazione ad una patria di cittadini liberi e uguali che l’Italia non aveva mai conosciuto nella sua storia ma che aveva le sue radici nel Risorgimento.
La storia del dopoguerra è stata segnata dalle mille difficoltà nel ricordare i fatti per quello che furono e ancora oggi il revisionismo storico cerca di cambiare le carte in tavola, ponendo sullo stesso piano le vittime e i carnefici. I tentativi di dimenticare il ventennio fascista e la fine della libertà di opinione, l’inizio delle legge razziali, volute dal fascismo, le stragi verso la fine della guerra messe in atto non solo dai nazisti ma dai repubblichini, sono tutte cose che non dovrebbero lasciare dubbi sulle verità storiche. Eppure ci sono verità che emergono con difficoltà e fanno fatica ad affermarsi, come ad esempio il ruolo esercitato dall’Italia fascista nella persecuzione degli ebrei.
La rimozione della memoria porta all’equiparazione tra vittime e carnefici ed al risorgere del fascismo.
Anche a Cremona da alcuni anni si assiste a pericolosi rigurgiti neofascisti. Fra i tanti segnali va ricordata la vergognosa adunata nazi-fascista che si tiene presso il Civico Cimitero, con ostentazione di divise e insegne che richiamano quel triste passato, senza alcuna pubblica e significativa reazione da parte delle istituzioni comunali preposte alla tutela dell’uso corretto del pubblico Cimitero.
Le manifestazioni fasciste vengono vietate solo per motivi di ordine pubblico, senza tener conto del fatto che vi sono simboli e gesti che sono evidentemente apologetici della dittatura fascista, che offendono l’intera città ed infangano la memoria delle centinaia di cremonesi che hanno dato la vita per la libertà combattendo contro quel regime totalitario.
Coltiviamo dunque la memoria storica, senza furbizie ed opportunismi, senza rimozioni e debolezze. Conserviamo i segni gloriosi della resistenza al fascismo, di quel regime nefasto e sanguinario, condannato dalla Storia e dalla nostra Costituzione, così che non si materializzi di nuovo nella nostra realtà.
Rodolfo Bona
Anpi Provinciale Cremona
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