Ricordo di Carlo Rosselli a 100 anni dalla nascita Commemorazione di Mario Coppetti Sala Consigliare dell’Amministrazione Provinciale di Cremona – aprile 2003
Signore, signori, autorità,
mi sia consentito un vivo ringraziamento al Sindaco al Presidente della Provincia e all’ANPI, che con il loro patrocinio hanno conferito più solennità a questo momento di riflessione e di ricordo di uomini che affrontarono grandi sacrifici, e parecchi anche la morte, per ridare dignità e libertà al popolo italiano.
Il 16 novembre di quest’anno ricorre il centenario della nascita di Carlo Rosselli, ucciso insieme al fratello Nello a Bagnole de l’’Orne il 9 giugno 1937.
Ritengo che, in questa nostra Italia per la cui libertà essi diedero la vita è un dovere ricordare uomini e fatti, pur lontani nel tempo, con grande umiltà, rispetto e riconoscenza.
Alcuni potrebbero obiettare sull’’opportunità di queste commemorazioni; ad essi rispondo che è mia profonda convinzione che non e possibile costruire un futuro di pace e di giustizia, come tutti vorremmo, ignorando quel passato tragico ed eroico che fu la lotta contro il fascismo. Per cercare di capire sotto tutti gli aspetti quanto allora è accaduto è necessario ricordare, cercando di calarsi nel clima italiano di quegli anni.
Chi non è vissuto sotto il fascismo non può capire, non può rendersi conto di quella che era la vita allora.
Anche senza aver subito violenza fisica, come erano grevi le umiliazioni, gli obbligati silenzi, l’isolamento di tutti i giorni, per mesi, per anni, l’obbligo della tessera, della divisa, le adunate, le premilitari, la diffidenza, il sospetto. Oltre a questo, per sottrarsi alle sistematiche violenze squadristiche molti lavoratori erano costretti ad espatriare. Ad essi poi seguiranno nel 1924 gli espatri di Gaetano Salvemini, di Tarchiani, Mirti, don Sturzo e di Piero Gobetti nel 1926, cui faranno seguito quelli di Claudio Treves e Giuseppe Saragat.
Milano divenne così il centro per l’organizzazione degli espatri che ebbe proprio in Rosselli uno dei maggiori attivisti.
Carlo Rosselli, secondo di tre fratelli, nasce a Roma da Amelia Pincherle e Giuseppe Rosselli il 16 novembre 1899 in una famiglia che aveva intensamente partecipato alle lotte ed agli ideali del Risorgimento; basta ricordare che Giuseppe Mazzini morì in casa di Pellegrino Rosselli, nonno di Carlo.
Nel 1916 Aldo, il fratello maggiore, cade eroicamente in guerra sui monti della Carnia; alla memoria gli verrà conferita la medaglia d’argento.
Anche Carlo nel giugno del 1917 verrà chiamato alle armi, e verrà congedato nel febbraio del 1920 dopo aver vissuto quasi tre anni con gli alpini, sugli altipiani di Asiago.
È proprio negli anni 1920-1921 che Rosselli è attratto dalla concezione del movimento socialista come fattore di unificazione spirituale, di educazione nazionale, di patriottismo proletario, il solo capace di risolvere i problemi di fronte ai quali era mancata la borghesia, patriottismo che senza sforzo sfocia nell’internazionalismo.
Eccolo allora guardare con sempre maggiore interesse a Filippo Turati che rappresentava quel socialismo nato come moto umanitario, spinto innanzi da profonde necessità democratiche e liberali, da un forte amore verso gli umili, senza il quale ogni riformismo è cosa morta. L’ambiente fiorentino dove la personalità di Salvemini aveva attratto vari giovani, da Carlo a Nello Rosselli storico, autore di biografie di Pisacane, Mazzini e Bakunin, a Ernesto Rossi, alla giovane inglese Marion Cave che diventerà la moglie di Carlo, si rivela un ambiente molto attivo nella contestazione contro il fascismo.
Ma quando, dopo il famoso discorso alla Camera col quale denuncerà i brogli e le violenze fasciste, Giacomo Matteotti verrà barbaramente ucciso a pugnalate su ordine di Mussolini, si fa strada in Rosselli la convinzione che oramai bisognava schierarsi con un partito e in uno slancio sentimentale aderirà al partito socialista che era il partito di Matteotti e di Turati.
Egli sperava così di poter mettere in pratica la sua convinzione che toccasse alle masse operaie, inquadrate in un partito socialista progressista e non sovversivo, raccogliere l’eredità del liberalismo.
Rosselli attivo tra Firenze e Milano, ove era diventato assistente di Luigi Einaudi alla Bocconi, davanti alla debolezza dell’opposizione, dopo che la stampa libera era stata soppressa, con Ernesto Rossi pubblicherà a Firenze il “Non mollare”, dove scriveranno: “Bisogna resistere malgrado le armi della milizia, malgrado l’impunità assicurata ai delinquenti, malgrado tutti i decreti che possano venire firmati dal re”.
In seguito alla diffusione di questa pubblicazione verranno processati a Firenze il 13 luglio del ‘25 Gaetano Salvemini ed Ernesto Rossi. Due mesi dopo il 3 e 5 ottobre la violenza fascista si scatenerà a Firenze con uccisioni e devastazioni. Rosselli, ormai poco presente a Firenze perché aveva la cattedra di economia politica a Genova, non verrà arrestato.
Ma con la voglia di fare che lo distingueva, con l’innato senso dell’organizzazione, si impegnava con tenacia per far uscire il “Quarto stato” con l’intendimento di preparare la ricostruzione, su nuove basi, di quel movimento socialista in cui riconosceva dal punto di vista politico il fenomeno più elevato dell’Italia moderna.
Per convincere Nenni in quel momento molto sfiduciato e depresso a collaborare alla rivista gli scrive: … “io metto a disposizione dell’iniziativa i miei denari, credendo con ciò di compiere, io, socialista e ricco capitalista, uno stretto dovere di cui nessuno ha da ringraziarmi. E ancora, tu mi parlasti una volta e in modo che mi commosse, di Matteotti; e mi dicesti che ti sarebbe piaciuto dar la vita per l’idea, così come lui la diede, e ci trovammo concordi nel lamentare l’assenza di spirito di sacrificio e di sete di sofferenza. Anch’io spesso ho sognato di poter finire così utilmente la mia vita per una così grande causa…
Matteotti non voleva e non cercava la morte.
Volle e cercò la lotta, volle e cercò i posti di responsabilità nelle ore più dure; seppe vincere tutti i giorni e perdere tutti i giorni la sua piccola battaglia.
Io ammiro in lui la fede di tutte le ore, la tenacia, la costanza, l’ottimismo contagioso, il volontarismo sfrenato.”
Alla fine Nenni accolse l’invito e diede la sua collaborazione.
Congiungere lotta politica di emancipazione operaia e lotta liberistica era una aspirazione di Rosselli come era stata di Salvemini e Gobetti.
Nel 1926 in seguito agli attentati contro Mussolini del coraggioso ex capitano degli alpini ed ex deputato socialista Zaniboni, dell’inglese Miss Gibson, del giovane anarchico Lucetti, del giovanissimo Anteo Zaniboni (linciato sul posto a Bologna), esplode la violenta rabbia fascista culminata in aggressione alle persone nella devastazione di molte abitazioni di noti antifascisti, molti dei quali sono costretti a fuggire all’estero.
Nell’opera di organizzazione di espatri Rosselli diviene il fulcro e il più impegnato insieme a Ferruccio Parri e Riccardo Bauer, ed è proprio lui che deve convincere l’ormai vecchio Turati, solo e profondamente depresso, anche per la morte dell’amata Anna Kuliscioff, a mettersi in salvo all’estero.
Ed eccolo allora organizzare la rocambolesca fuga di Turati: da Milano nel Varesotto, da lì a Ivrea quindi a Savona, dove finalmente potè imbarcarsi con Turati, Pertini, Parri, Oxilia, Dabove e Boyancé e dopo una orribile traversata durata dodici ore sbarcare a Calvi in Corsica.
Rosselli riteneva che il dovere dei vecchi era di continuare la battaglia all’estero, quello dei giovani di battersi in Italia.
Così subito il giorno dopo Parri e Rosselli con Oxilia e Dabove ripartirono per l’Italia ed approdarono a Forte dei Marmi, dove vennero arrestati. Dopo un breve periodo di confino ad Ustica Rosselli viene trasferito a Savona per essere processato per l’espatrio di Turati.
Carlo Rosselli invia una lettera al giudice istruttore nella quale rivendica la propria azione, affermando che aveva voluto porre in salvo l’uomo che era stato il simbolo del socialismo italiano e riaffermava un legame ideale concreto fra la lotta dell’Italia per la sua libertà nel Risorgimento e il suo gesto, tra l’amicizia dei suoi nonni per Mazzini e la sua devozione per Turati.
Tutti gli accusati, già valorosi combattenti nella grande guerra e con medaglie al valore, tennero lo stesso fiero comportamento e quando Parri affermò che si vergognava di portare sul petto sotto la dittatura le medaglie al valore, il padre vecchio ufficiale lo interruppe con un “bravo”.
La mite sentenza fu accolta da una manifestazione antifascista nella sala del tribunale stesso, che non era ancora il tribunale speciale.
Dopo aver scontato dieci mesi di carcere Rosselli venne assegnato per cinque anni al confino, questa volta a Lipari.
Durante il soggiorno al confino egli scrive “Socialismo Liberale” ed è proprio in queste pagine che egli afferma: “Quanti appartenendo a popoli liberali, che portano con se il culto per la libertà, ci invitano al compromesso, non comprendono nulla della lotta che si svolge in Italia. Sono essi inconsciamente i migliori alleati del fascismo.
Questo non teme le mezze coscienze. Ciò di cui ha paura, sono le coscienze diritte e la fede pura nei principi. Quelli che ha barbaramente colpito sono gli uomini che un’intera vita stoica e puritana indicava come simboli di quest’opera di rigenerazione.
Esiste oggi in Italia e fuori d’Italia, una generazione di uomini che hanno scelto il loro destino e che per nulla al mondo rinuncieranno a condurre la lotta alla sua logica conclusione.”
Rosselli fin dal primo giorno dell’arrivo a Lipari aveva pensato alla fuga scegliendo come compagnia della perigliosa avventura Fausto Nitti ed Emilio Lussu eroe della Brigata Sassari, deputato del partito sardo d’azione, assegnato al confino perché con una fucilata aveva colpito un fascista che tentava arrampicandosi sul balcone di entrare in casa sua con un gruppo di squadristi.
Dopo alcuni tentativi non riusciti il 27 luglio del ‘29 alla sera Oxilia e Dolci, liberato pochi mesi prima dal confino, riusciranno con un motoscafo a riportare i tre in salvo in Tunisia.
Con il seguente immediato arresto di Nello e Marion, che era cittadina inglese, l’eco dell’impresa venne ingigantito, la risonanza moltiplicata dalla stampa democratica americana ed europea, soprattutto da quella inglese.
Negli stessi giorni Sandro Pertini rientrava in Italia e arrestato veniva condannato a dodici anni di carcere.
L’ambiente che Rosselli dopo l’evasione troverà a Parigi è il mondo estremamente complesso e frammentario di tutte le emigrazioni politiche. E proprio come movimento all’infuori dei partiti esistenti nasce allora “Giustizia e Libertà” e dopo pochi mesi uscirà anche il giornale dallo stesso titolo. Novembre 1929.
Sono di questi tempi una intensa attività contro la dittatura. In Belgio, l’attentato contro il principe Umberto ad opera del socialista Fernando De Rosa, che col seguente relativo processo, che avrà ampio risalto da parte di tutta la stampa democratica europea, soprattutto per le numerose testimonianze di personalità politiche in difesa di De Rosa. Fra le tante quella del ministro belga Spaak, che dichiarava: “In un paese dove non c’è libertà si può giustificare anche l’’uso della violenza”. De Rosa subirà una lieve condanna. Morirà combattendo per la repubblica, in Spagna.
Ancora, organizzata da Rosselli (che amava anche progettare azioni spettacolari che avrebbero potuto avere ampia risonanza anche all’estero) l’impresa di Bassanesi che sfidando l’aviazione fascista volerà in pieno giorno su Milano gettando migliaia di manifestini contro il fascismo riuscendo a rientrare in Svizzera.
L’anno dopo un altro giovane, Lauro De Bosis, dopo aver scritto “La storia della mia morte” volerà su Roma gettando migliaia di volantini contro il regime fascista ma nel ritorno scomparirà con il suo aereo in mare, nelle acque della Sardegna.
Colma di pathos è la deposizione di Rosselli davanti al tribunale di Lugano, per il volo di Bassanesi. Egli dichiarerà: “Avevo una casa me l’hanno devastata. Avevo un giornale me l’hanno soppresso. Avevo una cattedra l’ho dovuta abbandonare. Avevo dei Maestri e degli amici, Giovanni Amendola, Matteotti, Gobetti me li hanno uccisi.”
Purtroppo l’azione clandestina in Italia subirà un duro colpo perché a causa di un traditore, che si chiamava Carlo del Re, vennero arrestati 24 membri del gruppo dirigente di “Giustizia e Libertà” a Milano e in altre città; fra essi Parri, Bauer, Rossi, Luigino Battisti, l’ing. Umberto Ceva che per timore di non resistere alla tortura si ucciderà in carcere.
Tutti gli arrestati furono condannati a lunghe pene, dopo che lo stesso tribunale speciale aveva già condannato a morte Sbardellotto e Schirru, accusati di voler attentare alla vita di Mussolini.
Dopo l’avvento di Hitler al potere in un profetico articolo Rosselli scrive: “Inutile cercare pretesti per non vedere; dopo l’avvento del fascismo in Germania la meccanica pacifista è crollata e ci si avvia a grandi passi, verso una nuova guerra. Questa guerra verrà fra due, tre, cinque anni, quando la Germania si riterrà sufficientemente forte… Nella nostra qualità di italiani, di rivoluzionari, di antifascisti, il nostro dovere consisterà nel sabotare la guerra fascista, nel trasformare la guerra in rivoluzione” (1933).
E ancora: “Questo è, nell’ora attuale, l’unica forma di pacifismo virile, l’unico modo per salvare la pace.”
Nel frattempo continuava l’espatrio dall’Italia di eminenti figure della cultura. Nel 1932 muoiono a Parigi Filippo Turati e Claudio Treves e vengono effettuati numerosi arresti, specialmente a Torino da parte dell’O.V.R.A., la polizia segreta fascista. Grandissimo impegno politico Rosselli sosterrà nei tormentati anni che videro Italia impegnata nella guerra d’Abissinia, durante la quale soltanto il movimento di “Giustizia e Libertà” si dichiarò contrario alle sanzioni imposte all’Italia dalla Società delle Nazioni, prevedendo che questa decisione non sarebbe mai stata applicata come di fatto avvenne, mentre ciò avrebbe spinto parte degli italiani ad avvicinarsi al fascismo.
Terribili anni dal ’34 al ‘37 segnati dall’avvento del nazismo in Germania, dallo schiacciamento della resistenza antifascista in Austria, dalla vittoria hitleriana nel plebiscito della Saar, dal riarmo tedesco.
Scoppia poi la guerra di Spagna ed egli, cogliendo il profondo significato rivoluzionario che potrebbe assumere, interviene subito, organizza e porrà alla vittoria di monte Pelato in Catalogna la colonna italiana comandata dal repubblicano Angeloni che verrà ucciso proprio in quella battaglia.
Subentrato ad Angeloni, cercherà in tutti i modi di organizzare una legione italiana unica, ma malgrado il suo impegno, per i contrasti fra i partiti spagnoli, e fra quelli dei vecchi partiti italiani, che già sostengono la brigata Garibaldi sul fronte di Madrid, non riuscirà nel suo intento che si basava sempre sul concetto che avevano ispirato le famose parole d’ordine: oggi in Spagna domani in Italia.
Ai primi del giugno del ‘37 rientra a Parigi a causa del riacutizzarsi di una flebite. Intanto sul fronte della Catalogna la situazione si fa sempre più difficile a causa dei contrasti fra anarchici e comunisti sul modo di condurre la guerra, contrasti culminati purtroppo con l‘uccisione dell’esponente anarchico italiano Camillo Berberi.
E qui consentitemi un personale ricordo: una mattina dei primi di giugno, come altre volte in precedenza, vado con Amigoni e l’Ausenda, (entrambi fuoriusciti cremonesi), presso la sede di “Giustizia e Libertà” in Boulevard Saint Michel e là incontriamo con altri Ciarlo Rosselli appena rientrato dal fronte di Huesca. Ci fermiamo un po’ in quel grande stanzone pieno di giornali e pacchi di stampa antifascista e poi usciamo tutti insieme per andare a pranzo in un piccolo ristorante vicino al giardino del Luxenbourg.
Dopo un breve tratto di strada Rosselli si ricorda di aver dimenticato di prendere delle pubblicazioni.
Allora mentre gli altri vanno avanti io ritorno con lui in sede.
Rammento ancora con quale interesse mi chiese della situazione in Italia; egli era particolarmente interessato a capire cosa pensavano i giovani in Italia, quali erano gli effetti che la guerra di Spagna aveva su di loro e a chiedersi quello che dall’estero avremmo potuto fare.
Mentre tornavamo dagli amici mi disse che tra qualche giorno sarebbe andato fuori Parigi per curarsi. Non l’avrei mai più rivisto.
Qualche giorno dopo Rosselli con la moglie si trova a Bagnoles de l’Orne, piccola stazione termale, per curare la flebite e si incontra con il fratello Nello venuto direttamente da Firenze per evitare l’ambiente antifascista parigino. Purtroppo fin da Firenze era stato seguito da un agente dell’O.V.R.A.
Sarà proprio in Normandia fra i verdi alberi della foresta di Couterne che i due fratelli saranno vittime dell’infame mostruoso assassinio, che ricorda quello molto simile di Giacomo Matteotti.
Uno dei sicari Jakubiez davanti ad un tribunale francese nel 1945 per liberarsi la coscienza, così confessò la sua partecipazione al delitto:
“Quando i due Rosselli uscirono dal ristorante, li seguimmo con la nostra vettura. Erano accompagnati da una donna (la moglie di Carlo), che lasciarono alla stazione di Bagnoles. Poi andarono verso Alençon, e noi li seguimmo. Dopo avere fatto alcuni acquisti ad Alençon (regali per i bambini), i Rosselli presero la via di Bagnoles. A un certo punto, la vettura di Filliol, nella quale stavo io, oltrepassò quella dei Rosselli e le tagliò la strada. Filliol scese sulla strada con Baillet, simulando un guasto. La vettura dei Rosselli si arrestò. Carlo rimase al volante. Il fratello esce. Filliol, che era curvo innanzi alla vettura come se cercasse il guasto, si rialzò bruscamente e scaricò il parabellum contro nello, che cadde. Baillet si precipitò sulla vettura in cui si trovava Carlo, che stava al volante, e sparò anche contro di lui. Carlo fu ucciso sul colpo. Suo fratello, gravemente ferito, era caduto nel fossato. Io lo colpii col pugnale credo due o tre volte; Filliol lo finì in seguito con l’arma che possedeva.
Il pugnale che fu trovato sul luogo era mio. Filliol conservò il suo. Era stato lui che ci aveva tutti armati con un pugnale dello stesso modello. Puireux rimase al volante della sua macchina durante l’affare. Gli occupanti della seconda macchina, che avevano veduto il delitto, girarono su se stessi nella direzione di Parigi. Baillet ed io buttammo i due corpi nel bosco sul margine della strada. Filliol li aveva frugati e preso si di essi delle carte, che furono spedite in Italia. In cambio dall’Italia arrivarono 100 moschetti beretta prezzo pagato ai cagoulards francesi per l’esecuzione materiale del delitto.”
L’assassinio dei fratelli Rosselli ebbe grande risonanza, specialmente in Inghilterra (la moglie era inglese) e in America e servì a far conoscere a tutto il mondo che non tutti gli italiani erano sostenitori del regime.
A 38 anni Carlo lasciava la moglie e tre piccoli orfani. Quattro bambini aveva Nello.
Ma come era l’uomo Carlo Rosselli? Ester Parri ricorda la sua istintiva bontà e la ricchezza e profondità di sentimenti umani, sempre sorridente, arrivava di corsa con il sorriso lieve sulla bocca sottile e lo sguardo che chiedeva scusa; le parole precise non erano mai un ordine, ma un consiglio, una preghiera.
Era naturale obbedirgli e poi ricordo l’infinita tenerezza che nutriva verso la moglie e i figli. Tenerezza che però non gli impedisce di scriverle prima di partire per la Spagna, la seguente lettera: “Cara Marion, non ho più diritto di oziare. Ti trascuro, vi trascuro? Lo so, lo credo, cara. Ma non senti come è tragico e imperioso il dovere che mi si pone dopo tutti questi terribili sacrifici degli amici? Con Bauer, Rossi, Fancello, Parri, Maffi, Albasini in prigione, noi non abbiamo più diritto di oziare o di fare eccessivi riposi. C’è il problema Germani (esponente di “GL” triestino che aveva tentato di fare espatriare la vedova Matteotti n.d.r.), l’angoscioso problema Germani che da solo ci deve spronare a moltiplicare gli sforzi.
Ormai per tutti questi eroici compagni nostri non c’è che una speranza: la nostra. Essi attendono la liberazione da noi. Nei lunghi mesi o anni di prigione essi scongiureranno noi di lavorare, di combattere, di non perdere un solo attimo nella battaglia.
È quello che facciamo.
Quando ti senti un po’ infelice pensa a quella disgraziata Germani: il marito in prigione da due mesi e mezzo e non può neppure ricevere la posta; per più di 40 giorni è stato senza un libro, un capo di vestiario.
Lei impossibilitata a lasciare Parigi dove non deve assolutamente avere contatti con noi. Il suo bambino lontano a Trieste. Destino terribile che sopporta con esemplare coraggio.
Io, come già ti scrissi, sono combattuto alle volte dal rimorso di non occuparmi abbastanza di voi e di non sapere godere come potrei e vorrei la dolcezza grande del nostro amore. Ma, poi, pensando a questi casi e alle nostre responsabilità, mi convinco che la vera strada è questa e che nulla in quest’ora sarebbe più turpe di un egoistico isolamento.”
Oggi che molti un po’ troppo in ritardo scoprono di essere dei socialdemocratici, mi auguro che si possa, che si voglia approfondire il pensiero politico di Rosselli.
Egli non è un liberale crociano, non crede in un’opposizione legalitaria contro un regime illegale, si spinge perfino a giustificare, in via teorica, l’attentato o il tirannicidio. Il suo obiettivo non è la pura e semplice restaurazione dello stato liberale prefascista. Pensa a una nuova costituzione aperta alla partecipazione dei ceti popolari e con un più ampio riconoscimento dei diritti sociali.
Ma nello stesso tempo respinge con fermezza la tesi comunista e massimalista che vede l’uscita dal fascismo in un sistema di tipo collettivista.
“Siamo con il proletariato – risponde a un attacco di Giorgio Amendola – non però per farne l’oggetto di dittatura della burocrazia di partito ma per sviluppare in esso il senso della dignità e dell’autonomia, facendolo libero nell’officina ma anche nella vita.”
Il socialismo non è né la socializzazione, né il proletariato al potere e neppure la materiale eguaglianza. Il socialismo colto nel suo aspetto essenziale, è l’attuazione progressiva dell’idea di giustizia e libertà tra gli uomini: idea innata che giace più o meno sepolta nelle incrostazioni dei secoli al fondo di ogni essere umano. “Il socialismo è in primo luogo rivoluzione morale, e in secondo luogo trasformazione materiale.” L’etica marxista, in realtà inesistente, che di etica ve n’è una sola, senza aggettivi, non è che l’etica fondata sull’homo economicus. La religione mascherata del cinismo e del materialismo proletario.
Rosselli era convinto che gli uomini e la società vengono prima dello Stato; che i diritti umani sono superiori al diritto degli Stati; che le libertà umane rappresentano un valore più alto della sovranità statale.
Per concludere, che ben altro impegno, ben altro tempo occorrerebbero per approfondire le idee politiche di Rosselli, voglio ricordarlo a voi con le parole di Benedetto Croce che credo tratteggino molto bene la figura di questo generoso idealista che ha pagato con la vita il suo amore per la libertà.
“Pure, nella inerzia e acquiescenza dei paesi dei quali gli esuli erano ospiti, il Rosselli fu colui che più di ogni altro non tralasciò mai di escogitare e di tentare e ritentare tutte le vie per passare dalla polemica delle idee a quella dei fatti, e in questi incessanti tentativi spese le sue doti di ingegno e volontà, profuse largamente il suo patrimonio privato, mise allo sbaraglio la sua vita. Dopo l’evasione che con pochi compagni e con grande audacia fece dal confino di Lipari, si susseguirono, per sua precipua opera, invii di aeroplani nel cielo d’Italia e piogge di manifesti, incitazioni, dimostrazioni di ogni sorta, incoraggiamenti a scioperi, incoraggiamenti ad ardire imprese. Se gli effetti di tutti questi tentativi furono scarsi, se taluni di essi abortirono alle prime mosse, il Rosselli, che mai si stancava, mai si scoraggiava, pronto a ricominciare daccapo, dava un esempio ammirevole, che rende ora oggetto di venerazione la sua memoria. L’ultimo suo disegno fu la partecipazione alla guerra civile del popolo spagnolo contro i generali e i falangisti; guerra che egli, sperandola vittoriosa, credeva che avrebbe fornito un punto di appoggio alla guerra degli italiani contro il fascismo. Si recò perciò a combattere in Spagna, e quel disegno ancora volgeva in mente quando, tornato in Francia, fu fatto assassinare dal fascismo il quale sentì che, uccidendo lui, avrebbe tolto una forza, la maggiore forza efficiente, all’emigrazione italiana.”
Egli è stato infatti il solo antifascista fatto uccidere all’estero da Mussolini.
Amici, compagni, a distanza di oltre 60 anni è ancor viva in me la visione di quel triste pomeriggio di metà giugno a Parigi nel quale si svolsero i funerali dei due fratelli.
Dietro le bare ricoperte da drappi rossi vedo ancora il popolo di Parigi una folla immensa, tante bandiere, rappresentanti di tutti i movimenti antifascisti d’Europa, tante personalità politiche, ma soprattutto la partecipazione della gente del popolo animata da grande volontà di riscossa.
Oltre centocinquantamila persone commosse seguiranno il corteo che si snodava per le vie della città, mentre risonavano le note gravi e solenni dell’Eroica di Beethoven, la sinfonia da Carlo preferita.
I due fratelli venivano portati per essere seppelliti in quel cimitero dove già riposava il vecchio Turati e dove il popolo di Belleville e della Bastiglia ogni anno andava a ricordare i morti della Commune.
Quando le bare passarono e scomparvero oltre la porta del Père Lachaise una grande tristezza scese su tutti noi, e su di me un grande senso di vuoto che ho portato appresso tutta la vita e il presagio, purtroppo avveratosi, che l’Italia aveva perso uno dei suo figli migliori, che avrebbe dato – ne sono certo – per le sue doti morali, le sue capacità politiche, e di concretezza, un contributo fondamentale alla costruzione della nuova Italia, migliore dell’attuale.
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Carlo Rosselli
Ricordo di Carlo Rosselli a 100 anni dalla nascita
Commemorazione di Mario Coppetti
Sala Consigliare dell’Amministrazione Provinciale di Cremona – aprile 2003
Signore, signori, autorità,
mi sia consentito un vivo ringraziamento al Sindaco al Presidente della Provincia e all’ANPI, che con il loro patrocinio hanno conferito più solennità a questo momento di riflessione e di ricordo di uomini che affrontarono grandi sacrifici, e parecchi anche la morte, per ridare dignità e libertà al popolo italiano.
Il 16 novembre di quest’anno ricorre il centenario della nascita di Carlo Rosselli, ucciso insieme al fratello Nello a Bagnole de l’’Orne il 9 giugno 1937.
Ritengo che, in questa nostra Italia per la cui libertà essi diedero la vita è un dovere ricordare uomini e fatti, pur lontani nel tempo, con grande umiltà, rispetto e riconoscenza.
Alcuni potrebbero obiettare sull’’opportunità di queste commemorazioni; ad essi rispondo che è mia profonda convinzione che non e possibile costruire un futuro di pace e di giustizia, come tutti vorremmo, ignorando quel passato tragico ed eroico che fu la lotta contro il fascismo. Per cercare di capire sotto tutti gli aspetti quanto allora è accaduto è necessario ricordare, cercando di calarsi nel clima italiano di quegli anni.
Chi non è vissuto sotto il fascismo non può capire, non può rendersi conto di quella che era la vita allora.
Anche senza aver subito violenza fisica, come erano grevi le umiliazioni, gli obbligati silenzi, l’isolamento di tutti i giorni, per mesi, per anni, l’obbligo della tessera, della divisa, le adunate, le premilitari, la diffidenza, il sospetto. Oltre a questo, per sottrarsi alle sistematiche violenze squadristiche molti lavoratori erano costretti ad espatriare. Ad essi poi seguiranno nel 1924 gli espatri di Gaetano Salvemini, di Tarchiani, Mirti, don Sturzo e di Piero Gobetti nel 1926, cui faranno seguito quelli di Claudio Treves e Giuseppe Saragat.
Milano divenne così il centro per l’organizzazione degli espatri che ebbe proprio in Rosselli uno dei maggiori attivisti.
Carlo Rosselli, secondo di tre fratelli, nasce a Roma da Amelia Pincherle e Giuseppe Rosselli il 16 novembre 1899 in una famiglia che aveva intensamente partecipato alle lotte ed agli ideali del Risorgimento; basta ricordare che Giuseppe Mazzini morì in casa di Pellegrino Rosselli, nonno di Carlo.
Nel 1916 Aldo, il fratello maggiore, cade eroicamente in guerra sui monti della Carnia; alla memoria gli verrà conferita la medaglia d’argento.
Anche Carlo nel giugno del 1917 verrà chiamato alle armi, e verrà congedato nel febbraio del 1920 dopo aver vissuto quasi tre anni con gli alpini, sugli altipiani di Asiago.
È proprio negli anni 1920-1921 che Rosselli è attratto dalla concezione del movimento socialista come fattore di unificazione spirituale, di educazione nazionale, di patriottismo proletario, il solo capace di risolvere i problemi di fronte ai quali era mancata la borghesia, patriottismo che senza sforzo sfocia nell’internazionalismo.
Eccolo allora guardare con sempre maggiore interesse a Filippo Turati che rappresentava quel socialismo nato come moto umanitario, spinto innanzi da profonde necessità democratiche e liberali, da un forte amore verso gli umili, senza il quale ogni riformismo è cosa morta. L’ambiente fiorentino dove la personalità di Salvemini aveva attratto vari giovani, da Carlo a Nello Rosselli storico, autore di biografie di Pisacane, Mazzini e Bakunin, a Ernesto Rossi, alla giovane inglese Marion Cave che diventerà la moglie di Carlo, si rivela un ambiente molto attivo nella contestazione contro il fascismo.
Ma quando, dopo il famoso discorso alla Camera col quale denuncerà i brogli e le violenze fasciste, Giacomo Matteotti verrà barbaramente ucciso a pugnalate su ordine di Mussolini, si fa strada in Rosselli la convinzione che oramai bisognava schierarsi con un partito e in uno slancio sentimentale aderirà al partito socialista che era il partito di Matteotti e di Turati.
Egli sperava così di poter mettere in pratica la sua convinzione che toccasse alle masse operaie, inquadrate in un partito socialista progressista e non sovversivo, raccogliere l’eredità del liberalismo.
Rosselli attivo tra Firenze e Milano, ove era diventato assistente di Luigi Einaudi alla Bocconi, davanti alla debolezza dell’opposizione, dopo che la stampa libera era stata soppressa, con Ernesto Rossi pubblicherà a Firenze il “Non mollare”, dove scriveranno: “Bisogna resistere malgrado le armi della milizia, malgrado l’impunità assicurata ai delinquenti, malgrado tutti i decreti che possano venire firmati dal re”.
In seguito alla diffusione di questa pubblicazione verranno processati a Firenze il 13 luglio del ‘25 Gaetano Salvemini ed Ernesto Rossi. Due mesi dopo il 3 e 5 ottobre la violenza fascista si scatenerà a Firenze con uccisioni e devastazioni. Rosselli, ormai poco presente a Firenze perché aveva la cattedra di economia politica a Genova, non verrà arrestato.
Ma con la voglia di fare che lo distingueva, con l’innato senso dell’organizzazione, si impegnava con tenacia per far uscire il “Quarto stato” con l’intendimento di preparare la ricostruzione, su nuove basi, di quel movimento socialista in cui riconosceva dal punto di vista politico il fenomeno più elevato dell’Italia moderna.
Per convincere Nenni in quel momento molto sfiduciato e depresso a collaborare alla rivista gli scrive: … “io metto a disposizione dell’iniziativa i miei denari, credendo con ciò di compiere, io, socialista e ricco capitalista, uno stretto dovere di cui nessuno ha da ringraziarmi. E ancora, tu mi parlasti una volta e in modo che mi commosse, di Matteotti; e mi dicesti che ti sarebbe piaciuto dar la vita per l’idea, così come lui la diede, e ci trovammo concordi nel lamentare l’assenza di spirito di sacrificio e di sete di sofferenza. Anch’io spesso ho sognato di poter finire così utilmente la mia vita per una così grande causa…
Matteotti non voleva e non cercava la morte.
Volle e cercò la lotta, volle e cercò i posti di responsabilità nelle ore più dure; seppe vincere tutti i giorni e perdere tutti i giorni la sua piccola battaglia.
Io ammiro in lui la fede di tutte le ore, la tenacia, la costanza, l’ottimismo contagioso, il volontarismo sfrenato.”
Alla fine Nenni accolse l’invito e diede la sua collaborazione.
Congiungere lotta politica di emancipazione operaia e lotta liberistica era una aspirazione di Rosselli come era stata di Salvemini e Gobetti.
Nel 1926 in seguito agli attentati contro Mussolini del coraggioso ex capitano degli alpini ed ex deputato socialista Zaniboni, dell’inglese Miss Gibson, del giovane anarchico Lucetti, del giovanissimo Anteo Zaniboni (linciato sul posto a Bologna), esplode la violenta rabbia fascista culminata in aggressione alle persone nella devastazione di molte abitazioni di noti antifascisti, molti dei quali sono costretti a fuggire all’estero.
Nell’opera di organizzazione di espatri Rosselli diviene il fulcro e il più impegnato insieme a Ferruccio Parri e Riccardo Bauer, ed è proprio lui che deve convincere l’ormai vecchio Turati, solo e profondamente depresso, anche per la morte dell’amata Anna Kuliscioff, a mettersi in salvo all’estero.
Ed eccolo allora organizzare la rocambolesca fuga di Turati: da Milano nel Varesotto, da lì a Ivrea quindi a Savona, dove finalmente potè imbarcarsi con Turati, Pertini, Parri, Oxilia, Dabove e Boyancé e dopo una orribile traversata durata dodici ore sbarcare a Calvi in Corsica.
Rosselli riteneva che il dovere dei vecchi era di continuare la battaglia all’estero, quello dei giovani di battersi in Italia.
Così subito il giorno dopo Parri e Rosselli con Oxilia e Dabove ripartirono per l’Italia ed approdarono a Forte dei Marmi, dove vennero arrestati. Dopo un breve periodo di confino ad Ustica Rosselli viene trasferito a Savona per essere processato per l’espatrio di Turati.
Carlo Rosselli invia una lettera al giudice istruttore nella quale rivendica la propria azione, affermando che aveva voluto porre in salvo l’uomo che era stato il simbolo del socialismo italiano e riaffermava un legame ideale concreto fra la lotta dell’Italia per la sua libertà nel Risorgimento e il suo gesto, tra l’amicizia dei suoi nonni per Mazzini e la sua devozione per Turati.
Tutti gli accusati, già valorosi combattenti nella grande guerra e con medaglie al valore, tennero lo stesso fiero comportamento e quando Parri affermò che si vergognava di portare sul petto sotto la dittatura le medaglie al valore, il padre vecchio ufficiale lo interruppe con un “bravo”.
La mite sentenza fu accolta da una manifestazione antifascista nella sala del tribunale stesso, che non era ancora il tribunale speciale.
Dopo aver scontato dieci mesi di carcere Rosselli venne assegnato per cinque anni al confino, questa volta a Lipari.
Durante il soggiorno al confino egli scrive “Socialismo Liberale” ed è proprio in queste pagine che egli afferma: “Quanti appartenendo a popoli liberali, che portano con se il culto per la libertà, ci invitano al compromesso, non comprendono nulla della lotta che si svolge in Italia. Sono essi inconsciamente i migliori alleati del fascismo.
Questo non teme le mezze coscienze. Ciò di cui ha paura, sono le coscienze diritte e la fede pura nei principi. Quelli che ha barbaramente colpito sono gli uomini che un’intera vita stoica e puritana indicava come simboli di quest’opera di rigenerazione.
Esiste oggi in Italia e fuori d’Italia, una generazione di uomini che hanno scelto il loro destino e che per nulla al mondo rinuncieranno a condurre la lotta alla sua logica conclusione.”
Rosselli fin dal primo giorno dell’arrivo a Lipari aveva pensato alla fuga scegliendo come compagnia della perigliosa avventura Fausto Nitti ed Emilio Lussu eroe della Brigata Sassari, deputato del partito sardo d’azione, assegnato al confino perché con una fucilata aveva colpito un fascista che tentava arrampicandosi sul balcone di entrare in casa sua con un gruppo di squadristi.
Dopo alcuni tentativi non riusciti il 27 luglio del ‘29 alla sera Oxilia e Dolci, liberato pochi mesi prima dal confino, riusciranno con un motoscafo a riportare i tre in salvo in Tunisia.
Con il seguente immediato arresto di Nello e Marion, che era cittadina inglese, l’eco dell’impresa venne ingigantito, la risonanza moltiplicata dalla stampa democratica americana ed europea, soprattutto da quella inglese.
Negli stessi giorni Sandro Pertini rientrava in Italia e arrestato veniva condannato a dodici anni di carcere.
L’ambiente che Rosselli dopo l’evasione troverà a Parigi è il mondo estremamente complesso e frammentario di tutte le emigrazioni politiche. E proprio come movimento all’infuori dei partiti esistenti nasce allora “Giustizia e Libertà” e dopo pochi mesi uscirà anche il giornale dallo stesso titolo. Novembre 1929.
Sono di questi tempi una intensa attività contro la dittatura. In Belgio, l’attentato contro il principe Umberto ad opera del socialista Fernando De Rosa, che col seguente relativo processo, che avrà ampio risalto da parte di tutta la stampa democratica europea, soprattutto per le numerose testimonianze di personalità politiche in difesa di De Rosa. Fra le tante quella del ministro belga Spaak, che dichiarava: “In un paese dove non c’è libertà si può giustificare anche l’’uso della violenza”. De Rosa subirà una lieve condanna. Morirà combattendo per la repubblica, in Spagna.
Ancora, organizzata da Rosselli (che amava anche progettare azioni spettacolari che avrebbero potuto avere ampia risonanza anche all’estero) l’impresa di Bassanesi che sfidando l’aviazione fascista volerà in pieno giorno su Milano gettando migliaia di manifestini contro il fascismo riuscendo a rientrare in Svizzera.
L’anno dopo un altro giovane, Lauro De Bosis, dopo aver scritto “La storia della mia morte” volerà su Roma gettando migliaia di volantini contro il regime fascista ma nel ritorno scomparirà con il suo aereo in mare, nelle acque della Sardegna.
Colma di pathos è la deposizione di Rosselli davanti al tribunale di Lugano, per il volo di Bassanesi. Egli dichiarerà: “Avevo una casa me l’hanno devastata. Avevo un giornale me l’hanno soppresso. Avevo una cattedra l’ho dovuta abbandonare. Avevo dei Maestri e degli amici, Giovanni Amendola, Matteotti, Gobetti me li hanno uccisi.”
Purtroppo l’azione clandestina in Italia subirà un duro colpo perché a causa di un traditore, che si chiamava Carlo del Re, vennero arrestati 24 membri del gruppo dirigente di “Giustizia e Libertà” a Milano e in altre città; fra essi Parri, Bauer, Rossi, Luigino Battisti, l’ing. Umberto Ceva che per timore di non resistere alla tortura si ucciderà in carcere.
Tutti gli arrestati furono condannati a lunghe pene, dopo che lo stesso tribunale speciale aveva già condannato a morte Sbardellotto e Schirru, accusati di voler attentare alla vita di Mussolini.
Dopo l’avvento di Hitler al potere in un profetico articolo Rosselli scrive: “Inutile cercare pretesti per non vedere; dopo l’avvento del fascismo in Germania la meccanica pacifista è crollata e ci si avvia a grandi passi, verso una nuova guerra. Questa guerra verrà fra due, tre, cinque anni, quando la Germania si riterrà sufficientemente forte… Nella nostra qualità di italiani, di rivoluzionari, di antifascisti, il nostro dovere consisterà nel sabotare la guerra fascista, nel trasformare la guerra in rivoluzione” (1933).
E ancora: “Questo è, nell’ora attuale, l’unica forma di pacifismo virile, l’unico modo per salvare la pace.”
Nel frattempo continuava l’espatrio dall’Italia di eminenti figure della cultura. Nel 1932 muoiono a Parigi Filippo Turati e Claudio Treves e vengono effettuati numerosi arresti, specialmente a Torino da parte dell’O.V.R.A., la polizia segreta fascista. Grandissimo impegno politico Rosselli sosterrà nei tormentati anni che videro Italia impegnata nella guerra d’Abissinia, durante la quale soltanto il movimento di “Giustizia e Libertà” si dichiarò contrario alle sanzioni imposte all’Italia dalla Società delle Nazioni, prevedendo che questa decisione non sarebbe mai stata applicata come di fatto avvenne, mentre ciò avrebbe spinto parte degli italiani ad avvicinarsi al fascismo.
Terribili anni dal ’34 al ‘37 segnati dall’avvento del nazismo in Germania, dallo schiacciamento della resistenza antifascista in Austria, dalla vittoria hitleriana nel plebiscito della Saar, dal riarmo tedesco.
Scoppia poi la guerra di Spagna ed egli, cogliendo il profondo significato rivoluzionario che potrebbe assumere, interviene subito, organizza e porrà alla vittoria di monte Pelato in Catalogna la colonna italiana comandata dal repubblicano Angeloni che verrà ucciso proprio in quella battaglia.
Subentrato ad Angeloni, cercherà in tutti i modi di organizzare una legione italiana unica, ma malgrado il suo impegno, per i contrasti fra i partiti spagnoli, e fra quelli dei vecchi partiti italiani, che già sostengono la brigata Garibaldi sul fronte di Madrid, non riuscirà nel suo intento che si basava sempre sul concetto che avevano ispirato le famose parole d’ordine: oggi in Spagna domani in Italia.
Ai primi del giugno del ‘37 rientra a Parigi a causa del riacutizzarsi di una flebite. Intanto sul fronte della Catalogna la situazione si fa sempre più difficile a causa dei contrasti fra anarchici e comunisti sul modo di condurre la guerra, contrasti culminati purtroppo con l‘uccisione dell’esponente anarchico italiano Camillo Berberi.
E qui consentitemi un personale ricordo: una mattina dei primi di giugno, come altre volte in precedenza, vado con Amigoni e l’Ausenda, (entrambi fuoriusciti cremonesi), presso la sede di “Giustizia e Libertà” in Boulevard Saint Michel e là incontriamo con altri Ciarlo Rosselli appena rientrato dal fronte di Huesca. Ci fermiamo un po’ in quel grande stanzone pieno di giornali e pacchi di stampa antifascista e poi usciamo tutti insieme per andare a pranzo in un piccolo ristorante vicino al giardino del Luxenbourg.
Dopo un breve tratto di strada Rosselli si ricorda di aver dimenticato di prendere delle pubblicazioni.
Allora mentre gli altri vanno avanti io ritorno con lui in sede.
Rammento ancora con quale interesse mi chiese della situazione in Italia; egli era particolarmente interessato a capire cosa pensavano i giovani in Italia, quali erano gli effetti che la guerra di Spagna aveva su di loro e a chiedersi quello che dall’estero avremmo potuto fare.
Mentre tornavamo dagli amici mi disse che tra qualche giorno sarebbe andato fuori Parigi per curarsi. Non l’avrei mai più rivisto.
Qualche giorno dopo Rosselli con la moglie si trova a Bagnoles de l’Orne, piccola stazione termale, per curare la flebite e si incontra con il fratello Nello venuto direttamente da Firenze per evitare l’ambiente antifascista parigino. Purtroppo fin da Firenze era stato seguito da un agente dell’O.V.R.A.
Sarà proprio in Normandia fra i verdi alberi della foresta di Couterne che i due fratelli saranno vittime dell’infame mostruoso assassinio, che ricorda quello molto simile di Giacomo Matteotti.
Uno dei sicari Jakubiez davanti ad un tribunale francese nel 1945 per liberarsi la coscienza, così confessò la sua partecipazione al delitto:
“Quando i due Rosselli uscirono dal ristorante, li seguimmo con la nostra vettura. Erano accompagnati da una donna (la moglie di Carlo), che lasciarono alla stazione di Bagnoles. Poi andarono verso Alençon, e noi li seguimmo. Dopo avere fatto alcuni acquisti ad Alençon (regali per i bambini), i Rosselli presero la via di Bagnoles. A un certo punto, la vettura di Filliol, nella quale stavo io, oltrepassò quella dei Rosselli e le tagliò la strada. Filliol scese sulla strada con Baillet, simulando un guasto. La vettura dei Rosselli si arrestò. Carlo rimase al volante. Il fratello esce. Filliol, che era curvo innanzi alla vettura come se cercasse il guasto, si rialzò bruscamente e scaricò il parabellum contro nello, che cadde. Baillet si precipitò sulla vettura in cui si trovava Carlo, che stava al volante, e sparò anche contro di lui. Carlo fu ucciso sul colpo. Suo fratello, gravemente ferito, era caduto nel fossato. Io lo colpii col pugnale credo due o tre volte; Filliol lo finì in seguito con l’arma che possedeva.
Il pugnale che fu trovato sul luogo era mio. Filliol conservò il suo. Era stato lui che ci aveva tutti armati con un pugnale dello stesso modello. Puireux rimase al volante della sua macchina durante l’affare. Gli occupanti della seconda macchina, che avevano veduto il delitto, girarono su se stessi nella direzione di Parigi. Baillet ed io buttammo i due corpi nel bosco sul margine della strada. Filliol li aveva frugati e preso si di essi delle carte, che furono spedite in Italia. In cambio dall’Italia arrivarono 100 moschetti beretta prezzo pagato ai cagoulards francesi per l’esecuzione materiale del delitto.”
L’assassinio dei fratelli Rosselli ebbe grande risonanza, specialmente in Inghilterra (la moglie era inglese) e in America e servì a far conoscere a tutto il mondo che non tutti gli italiani erano sostenitori del regime.
A 38 anni Carlo lasciava la moglie e tre piccoli orfani. Quattro bambini aveva Nello.
Ma come era l’uomo Carlo Rosselli? Ester Parri ricorda la sua istintiva bontà e la ricchezza e profondità di sentimenti umani, sempre sorridente, arrivava di corsa con il sorriso lieve sulla bocca sottile e lo sguardo che chiedeva scusa; le parole precise non erano mai un ordine, ma un consiglio, una preghiera.
Era naturale obbedirgli e poi ricordo l’infinita tenerezza che nutriva verso la moglie e i figli. Tenerezza che però non gli impedisce di scriverle prima di partire per la Spagna, la seguente lettera: “Cara Marion, non ho più diritto di oziare. Ti trascuro, vi trascuro? Lo so, lo credo, cara. Ma non senti come è tragico e imperioso il dovere che mi si pone dopo tutti questi terribili sacrifici degli amici? Con Bauer, Rossi, Fancello, Parri, Maffi, Albasini in prigione, noi non abbiamo più diritto di oziare o di fare eccessivi riposi. C’è il problema Germani (esponente di “GL” triestino che aveva tentato di fare espatriare la vedova Matteotti n.d.r.), l’angoscioso problema Germani che da solo ci deve spronare a moltiplicare gli sforzi.
Ormai per tutti questi eroici compagni nostri non c’è che una speranza: la nostra. Essi attendono la liberazione da noi. Nei lunghi mesi o anni di prigione essi scongiureranno noi di lavorare, di combattere, di non perdere un solo attimo nella battaglia.
È quello che facciamo.
Quando ti senti un po’ infelice pensa a quella disgraziata Germani: il marito in prigione da due mesi e mezzo e non può neppure ricevere la posta; per più di 40 giorni è stato senza un libro, un capo di vestiario.
Lei impossibilitata a lasciare Parigi dove non deve assolutamente avere contatti con noi. Il suo bambino lontano a Trieste. Destino terribile che sopporta con esemplare coraggio.
Io, come già ti scrissi, sono combattuto alle volte dal rimorso di non occuparmi abbastanza di voi e di non sapere godere come potrei e vorrei la dolcezza grande del nostro amore. Ma, poi, pensando a questi casi e alle nostre responsabilità, mi convinco che la vera strada è questa e che nulla in quest’ora sarebbe più turpe di un egoistico isolamento.”
Oggi che molti un po’ troppo in ritardo scoprono di essere dei socialdemocratici, mi auguro che si possa, che si voglia approfondire il pensiero politico di Rosselli.
Egli non è un liberale crociano, non crede in un’opposizione legalitaria contro un regime illegale, si spinge perfino a giustificare, in via teorica, l’attentato o il tirannicidio. Il suo obiettivo non è la pura e semplice restaurazione dello stato liberale prefascista. Pensa a una nuova costituzione aperta alla partecipazione dei ceti popolari e con un più ampio riconoscimento dei diritti sociali.
Ma nello stesso tempo respinge con fermezza la tesi comunista e massimalista che vede l’uscita dal fascismo in un sistema di tipo collettivista.
“Siamo con il proletariato – risponde a un attacco di Giorgio Amendola – non però per farne l’oggetto di dittatura della burocrazia di partito ma per sviluppare in esso il senso della dignità e dell’autonomia, facendolo libero nell’officina ma anche nella vita.”
Il socialismo non è né la socializzazione, né il proletariato al potere e neppure la materiale eguaglianza. Il socialismo colto nel suo aspetto essenziale, è l’attuazione progressiva dell’idea di giustizia e libertà tra gli uomini: idea innata che giace più o meno sepolta nelle incrostazioni dei secoli al fondo di ogni essere umano. “Il socialismo è in primo luogo rivoluzione morale, e in secondo luogo trasformazione materiale.” L’etica marxista, in realtà inesistente, che di etica ve n’è una sola, senza aggettivi, non è che l’etica fondata sull’homo economicus. La religione mascherata del cinismo e del materialismo proletario.
Rosselli era convinto che gli uomini e la società vengono prima dello Stato; che i diritti umani sono superiori al diritto degli Stati; che le libertà umane rappresentano un valore più alto della sovranità statale.
Per concludere, che ben altro impegno, ben altro tempo occorrerebbero per approfondire le idee politiche di Rosselli, voglio ricordarlo a voi con le parole di Benedetto Croce che credo tratteggino molto bene la figura di questo generoso idealista che ha pagato con la vita il suo amore per la libertà.
“Pure, nella inerzia e acquiescenza dei paesi dei quali gli esuli erano ospiti, il Rosselli fu colui che più di ogni altro non tralasciò mai di escogitare e di tentare e ritentare tutte le vie per passare dalla polemica delle idee a quella dei fatti, e in questi incessanti tentativi spese le sue doti di ingegno e volontà, profuse largamente il suo patrimonio privato, mise allo sbaraglio la sua vita. Dopo l’evasione che con pochi compagni e con grande audacia fece dal confino di Lipari, si susseguirono, per sua precipua opera, invii di aeroplani nel cielo d’Italia e piogge di manifesti, incitazioni, dimostrazioni di ogni sorta, incoraggiamenti a scioperi, incoraggiamenti ad ardire imprese. Se gli effetti di tutti questi tentativi furono scarsi, se taluni di essi abortirono alle prime mosse, il Rosselli, che mai si stancava, mai si scoraggiava, pronto a ricominciare daccapo, dava un esempio ammirevole, che rende ora oggetto di venerazione la sua memoria. L’ultimo suo disegno fu la partecipazione alla guerra civile del popolo spagnolo contro i generali e i falangisti; guerra che egli, sperandola vittoriosa, credeva che avrebbe fornito un punto di appoggio alla guerra degli italiani contro il fascismo. Si recò perciò a combattere in Spagna, e quel disegno ancora volgeva in mente quando, tornato in Francia, fu fatto assassinare dal fascismo il quale sentì che, uccidendo lui, avrebbe tolto una forza, la maggiore forza efficiente, all’emigrazione italiana.”
Egli è stato infatti il solo antifascista fatto uccidere all’estero da Mussolini.
Amici, compagni, a distanza di oltre 60 anni è ancor viva in me la visione di quel triste pomeriggio di metà giugno a Parigi nel quale si svolsero i funerali dei due fratelli.
Dietro le bare ricoperte da drappi rossi vedo ancora il popolo di Parigi una folla immensa, tante bandiere, rappresentanti di tutti i movimenti antifascisti d’Europa, tante personalità politiche, ma soprattutto la partecipazione della gente del popolo animata da grande volontà di riscossa.
Oltre centocinquantamila persone commosse seguiranno il corteo che si snodava per le vie della città, mentre risonavano le note gravi e solenni dell’Eroica di Beethoven, la sinfonia da Carlo preferita.
I due fratelli venivano portati per essere seppelliti in quel cimitero dove già riposava il vecchio Turati e dove il popolo di Belleville e della Bastiglia ogni anno andava a ricordare i morti della Commune.
Quando le bare passarono e scomparvero oltre la porta del Père Lachaise una grande tristezza scese su tutti noi, e su di me un grande senso di vuoto che ho portato appresso tutta la vita e il presagio, purtroppo avveratosi, che l’Italia aveva perso uno dei suo figli migliori, che avrebbe dato – ne sono certo – per le sue doti morali, le sue capacità politiche, e di concretezza, un contributo fondamentale alla costruzione della nuova Italia, migliore dell’attuale.